(ASI) Abbiamo visto come decisamente controversa è stata la prospettiva dell’allargamento del novero dei legittimati attivi ad altri parenti ed affini non ricompresi nella famiglia nucleare latamente intesa.
La questione è controversa perché vi è chi ha sottolineato che l’estensione della tutela rimediale potrebbe dilatarsi notevolmente a favore di qualsiasi soggetto sentimentalmente legato alla vittima principale (si pensi all’amico del cuore, al collega di lavoro, alla fidanzatina di turno).
Al riguardo occorre ricordare come in realtà già agli inizi del Novecento vi fosse autorevole dottrina, la quale sosteneva a chiare lettere la possibilità di riconoscere la tutela risarcitoria ai seguenti soggetti : ascendenti del danneggiato, collaterali, affini in linea retta ed anche in linea collaterale, i nipoti, ovvero tutte quelle persone della famiglia sulle quali si sia direttamente o indirettamente ripercosso il danno, quand’anche non vi fosse tra loro obbligo reciproco di alimenti.
La suddetta dottrina però, come argomentato nel paragrafo 2, non ebbe alcuna fortuna, in quanto per lungo tempo la dottrina dominante, con piena condivisione da parte della giurisprudenza , pose il veto assoluto a propagazioni della tutela risarcitoria a familiari che non fossero gli stretti congiunti.
Fu invero soltanto agli inizi del nuovo millennio che una parte della giurisprudenza pervenne ad affermare con viepiù crescente costanza e convinzione, la possibilità di riconoscere la legittimazione attiva all’azione risarcitoria altresì in capo a congiunti non appartenente alla famiglia nucleare “allargata” (legale o di fatto) e pure non conviventi, quali parenti e affini, per esempio nonni, nipoti, zii e cugini, cognati.
Questa prospettiva è stata ulteriormente approfondita e confermata da tutta una serie di precedenti sia di legittimità che di merito, che hanno affermato il principio che quanto agli altri parenti ed affini (nonni, nipoti, zii, cugini, cognati, ecc.), la legittimazione può essere loro riconosciuta soltanto se oltre all’esistenza del rapporto di parentela o di affinità, concorrano ulteriori circostanze atte a far ritenere che la morte del familiare abbia comportato la perdita di un effettivo e valido sostegno morale, non riscontrabile in mancanza di una situazione di convivenza.
Secondo tale orientamento l’esistenza di una lesione del rapporto parentale si può presumere solamente in capo ai componenti del ristretto nucleo familiare (coniuge e figli), mentre per gli altri parenti è richiesta almeno la prova della convivenza, “quale requisito minimo che esteriorizza l’esistenza di un legame affettivo”.
Orbene, appare però necessario puntualizzare che tale orientamento affermato da Cass. 16 marzo 2012 n. 4253, si è uniformato al principio di diritto affermato da una pronuncia della Cassazione n. 6938 del 23 giugno 1993, risalente nel tempo, che riteneva necessaria la convivenza, collegando la risarcibilità, oltre che all’esistenza del rapporto parentale, alla perdita di un effettivo sostegno morale ed ancorando tale perdita alla sola presenza di una posizione qualificata.
Tale orientamento, in realtà, appare oramai superato dai recenti approdi giurisprudenziali e dottrinali.
Il criterio della convivenza richiesto dalla giurisprudenza venne poi pian piano superato, ed una cospicua serie di pronunce iniziarono a ravvisare il diritto di agire iure proprio in capo a nonni e nipoti.
Ed infatti, la Cassazione con la pronuncia del 15 luglio 2005, n. 15019, resa in una fattispecie in cui rilevava solo il danno ai nipoti per la morte del nonno, non ha differenziato la posizione dei nipoti rispetto gli stretti congiunti (coniuge, genitori, figli), individuando il fondamento del danno non patrimoniale, per tutti i superstiti, nella lesione di valori costituzionalmente protetti e dei diritti umani inviolabili, costituendo la perdita dell'unità familiare, perdita di affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia come società naturale.
La giurisprudenza granitica, in sintesi, ritiene sufficiente ai fini della sussistenza della legittimazione passiva dei prossimi congiunti, l'emersione, sul piano probatorio, di "normali rapporti" che, specie in assenza di coabitazione, lasciano intendere come sia rimasto intatto, e si sia rafforzato nel tempo, il legame affettivo e parentale tra prossimi congiunti: “la sussistenza di normali rapporti tra nonni e nipoti, specie in assenza di coabitazione, lascia intendere come sia rimasto intatto, e come si sia rafforzato nel tempo, il legame affettivo e parentale tra prossimi congiunti, legame che in presenza di tali rapporti è costituito non solo sul ricordo del passato, ma anche sulla base affettiva nutrita dalla frequentazione in atto e dalla consapevolezza della presenza in vita di una persona cara, che è anche un punti di riferimento esistenziale, … sostenere il contrario significa pretendere, contro normale ragionevolezza, ed anche in presenza di un vincolo più stretto come quello tra genitori e figli, che il dolore per la morte del congiunto debba essere dimostrato dalla presenza di rapporti di natura ed intensità eccezionali e, come tali, difformi dal vissuto comune. L’assenza di coabitazione non può essere considerata elemento decisivo di valutazione, quando si consideri che tale assenza sia imputabile a circostanze di vita che non escludono il permanere dei vincoli affettivi e la vicinanza psicologica con il congiunto deceduto”.
Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia