(ASI) Non entra nella polemica politica, di queste ore, in merito alla decisione di Toscana e Calabria di ricorrere alla Consulta sul decreto Sicurezza. Cesare Mirabelli analizza quindi gli eventi esclusivamente dal punto di vista tecnico.
Il presidente onorario della Corte Costituzionale spiega, in un’intervista al giornale online e multimediale Agenzia Stampa Italia, che le due regioni italiane hanno individuato probabilmente alcune violazioni, da parte delle nuove norme emanate dal Viminale, delle loro competenze. Il magistrato ricorda, inoltre, l’importanza del diritto di asilo sancito dall’articolo 10 della Costituzione del nostro paese. Auspica tuttavia una politica europea, migratoria comune, caratterizzata da “un largo consenso” perchè “sono problemi che non può risolvere uno stato da solo”, in quanto occorre “un’assunzione di responsabilità collettiva”. Aggiunge dunque che il vecchio continente “non può essere un castello con il ponte levatoio sollevato, se fuori dalle sue porte non c’è ugualmente sviluppo, ma neanche avere accessi così aperti da subire invasioni”. Il Consigliere generale presso lo Stato di Città del Vaticano (il massimo incarico che può ricoprire un laico presso la Santa Sede) invita il mondo ad accogliere gli appelli, sulla tematica in questione, del successore di Pietro: “Il papa ha sempre enunciato, nel suo magistero, il dovere della solidarietà e dell’accoglienza che garantisca il rispetto, al contempo, delle identità culturali e dell’integrazione. La comunità internazionale non è forse preparata, però, per questo”.
“Presidente, Calabria e Toscana faranno ricorso alla Corte Costituzionale contro il decreto Sicurezza del governo. Lei che cosa ne pensa? Che cosa potrebbe decidere, a suo avviso, la Consulta?
Non saprei dare un’ indicazione nel merito, né esprimere una valutazione. Posso solamente descrivere se e come le regioni detengono la possibilità di ricorrere alla Corte Costituzionale nei confronti di una legge dello stato. Quest’ultimo ha la facoltà, al contempo, di rivolgersi alla Consulta per sollevare le proprie perplessità sulle norme regionali. La via principale e più seguita è quella delle questioni di legittimità costituzionale in via incidentale. Può essere cioè eccepita l’incostituzionalità di una legge nel corso di un giudizio. Il giudice, se ritiene che la questione sia rilevante, può sospenderlo e rimetterlo agli atti della Corte Costituzionale perché il dubbio sia sciolto. L’altra via è quella del ricorso diretto entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge. Devono essere indicate in questo caso le competenze violate, dallo stato o dalle regioni, con eventuali ulteriori vizi di legittimità costituzionale e quindi le norme, della Carta fondamentale del nostro paese, non rispettate. Sono state emanate, negli ultimi anni, più sentenze che hanno riguardato tali ricorsi rispetto a quelle inerenti alla prima tipologia. Calabria e Toscana hanno individuato probabilmente delle questioni che violano le loro competenze. Mi pare che non siano ancora note le norme che denunceranno. E’ un elemento in elaborazione. Le regioni poi notificheranno il ricorso, lo depositeranno alla Corte Costituzionale e attenderanno il giudizio. Quest’ultimo potrebbe non esserci, invece, se il provvedimento del Viminale sarà modificato con i contenuti richiesti da loro.
Ci sono degli aspetti, secondo lei, nel decreto Sicurezza che giustificano questi ricorsi da parte della Calabria e della Toscana?
Pure su questo non saprei dire. Bisognerebbe esaminare il decreto in dettaglio, vedendo anche la posizione delle regioni. Riguarderà probabilmente l’asserita violazione di competenze, non so se in materia sanitaria o in quale altra. Poi la denunciabilità è una cosa e la fondatezza della denuncia è un’altra. Ci sono attualmente strumenti giuridici, ma c’è soprattutto una polemica che è molto politica.
Secondo lei come dovrebbe essere gestito il fenomeno migratorio da parte dell’Italia?
E’ difficile, anche qui, dare una risposta perché il fenomeno migratorio ha molti risvolti. Alcuni di questi sono disciplinati dal diritto nazionale, altri da quello comunitario e internazionale. Dobbiamo dire che la nostra Costituzione ha la previsione di un’ampia tutela anche dello straniero. L’articolo 10 stabilisce, in particolare, che a colui che sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Quest’ultima non può escludere, o restringere eccessivamente, tale principio. Il fenomeno migratorio ha assunto dimensioni forse non immaginabili e non è più un atto individuale, come forse prevede la Carta fondamentale del nostro paese. C’è una spinta, che è di carattere economico, legata alle condizioni minimali di vita. E’ presente forse una radice profonda che deve essere risolta, nel tempo, attraverso un riequilibrio tra le condizioni di vita e quelle economiche di diversi paesi. La globalizzazione ha ridotto, in parte, sfere di povertà in alcuni e ha creato nuove difficoltà negli stati sviluppati, così come in quelli che non lo sono ancora. C’è un problema di rapporti nord – sud , ma è un tipo di questione che ha un carattere economico con un riflesso sociale.
Come si dovrebbe porre in tutto questo, a suo giudizio, l’Europa e che cosa pensa in merito a quanto dichiarato dal ministro Salvini sul silenzio di Bruxelles sulla situazione della nave, Sea Watch 3, bloccata da giorni nel Mediterraneo?
Non voglio e non posso esprimere giudizi di carattere politico, né valutazioni su dichiarazioni di esponenti istituzionali. Dico che l’Unione Europea è un’ organizzazione internazionale nuova. Ha unito gli stati, dettando norme comuni e stabilendo una libera circolazione dei cittadini, delle merci e dei capitali. Ha assicurato pace e benessere nel continente. Vede l’aggregarsi di nuovi paesi e non può non avere, anche nell’ambito dell’immigrazione, una politica comune. Essa deve nascere da un largo consenso e da un’elaborazione profonda non basata solamente sugli aspetti economici. Sono problemi che non può risolvere uno stato da solo, in quanto occorre una convergenza, una collaborazione e un’assunzione di responsabilità collettiva.
Certo, rafforzare la collaborazione tra paesi è fondamentale per poter risolvere, in maniera definitiva, la problematica dell’immigrazione, ma fino a quando continueranno a prevalere certi interessi nazionali tutto questo diventa complesso..
Non c’è dubbio. Questo vale anche in altri settori. Lo sviluppo è assicurato da una solidarietà tra paesi e dal rispetto di regole comuni. Pensiamo quanto si sia semplificata la vita quotidiana in Europa. Non dimentichiamo quando, per recarsi da uno stato all’altro, occorreva il rilascio del visto ed era necessario superare i controlli alla frontiera. Oggi è invece quasi nella carriera ordinaria, di uno studente, andare per un semestre, o per un anno, in un’università di un altro paese senza nessuna difficoltà. Tutto questo ha anche un valore immediatamente economico nei commerci e nell’integrazione delle produzioni delle aziende. Gran parte della componentistica, solo per fare un esempio, di molte imprese automobilistiche tedesche viene realizzata in Italia. C’è un’integrazione che via via si sviluppa. L’Europa ha avuto una forza attrattiva nei confronti degli altri paesi. E’ partita con una comunità formata da sei stati ed è arrivata a 28. Non può essere un castello con il ponte levatoio sollevato, se fuori dalle sue porte non c’è ugualmente sviluppo, ma neanche avere accessi così aperti da subire invasioni.
Lei è anche Consigliere generale presso lo Stato della Città del Vaticano. Abbiamo visto molteplici appelli del papa in merito all’accoglienza, tematica abbastanza sentita all’interno dell’opinione pubblica. Il santo Padre è stato contestato duramente per queste prese di posizione. Lei cosa pensa di tali critiche nei confronti del pontefice? Sono messaggi non ben compresi, o ci sono altre preoccupazioni nell’opinione pubblica italiana?
Il papa ha sempre enunciato, nel suo magistero, il dovere della solidarietà e dell’accoglienza che garantisca il rispetto, al contempo, delle identità culturali e dell’integrazione. La comunità internazionale non è forse preparata, però, per questo. Mi pare che ci siano particolari problemi nel Mediterraneo. Dovremmo rivedere quest’ultimo secondo una tradizione culturale, storica e antica di migrazione delle idee, di contaminazione delle culture e di sviluppo dei commerci. Un piccolo esempio: dalle coste libanesi, da Biblos, è nato un tipo di scrittura mediante l’alfabeto. Se andiamo in Spagna abbiamo una moschea cattedrale. Il problema nasce quando manca un meccanismo ben organizzato, in quanto migrazione e accoglienza significano anche accettazione, da parte di chi è immigrato, dei valori, dei costumi e dei criteri di convivenza esistenti nel paese che accoglie”.
Marco Paganelli – Agenzia Stampa Italia