Storia. Quando cadde il Muro di Berlino simbolo della "Guerra Fredda" in Europa

1280px Berlin Wall 2006(ASI) 29 anni fa veniva abbattuta a furor di popolo una delle più grandi infamie mai erette dalla follia umana in ossequio ai deliri pseudo-illuministici al servizio di una perfida ideologia materialista. “Der Mauer” venne edificato nel corso di un drammatico confronto lungo 29 anni e cinicamente giocato sulla pelle, oltre che di un continente, di un’intera nazione.

Un duello condotto a suon di solide barriere in muratura, reticolati, cavalli di frisia, torrette di controllo, fari luminosi e ringhiosi cani da guardia. Un lungo trentennio di ostile e grottesca non belligeranza armata tra due giganteschi blocchi d’influenza. Una temperie riassunta nell’arcinoto concetto geopolitico passato alla storia col nome di “Guerra fredda”. Un conflitto a bassa intensità “combattuto” anche tra le due Germanie, smembrate e trovatesi in prima linea a militare nei due schieramenti speculari e contrapposti: quella “libera” ad Ovest e quella cosiddetta “democratica” ad Est. Una pantomima di Stato, questa, voluta dai satrapi del Cremlino in seguito alla sconfitta e alla caduta del Terzo Reich. Un assetto replicato pure a dimensione frattale tra la vecchia e la “nuova” Berlino (Pankow), l’antico, decaduto centro cittadino eletto poi a capitale del tristo clone tedesco-orientale. Un muro, ovvero due muri paralleli e con tanto di “terra di nessuno” nel mezzo, che andava a dividere sadicamente quartieri urbani, vie, marciapiedi, palazzi, caseggiati. All’interno dei condomini a volte gli inquilini degli appartamenti stessi poterono ritrovarsi da un momento all’altro brutalmente separati in casa da squadre di energumeni che, armati di cazzuole, calce e mattoni, sotto il vigile controllo delle guardie comuniste, muravano alla spiccia porte, finestre, mezzanini e pianerottoli. Un’operazione condotta senza riguardo per niente e per nessuno. Con la gente che per sfuggire all’odiosa prepotenza era costretta a calarsi da ogni pertugio di fortuna per non doversi scontrare con le ottuse milizie falcemartello. Per farla breve, la Germania si svegliò divisa in due da un muro sorto all’improvviso, e insieme con essa milioni di famiglie si ritrovarono a languire nelle analoghe, drammatiche condizioni. Due sorelle separate e rinchiuse nella propria zona di competenza. Est o Ovest. Tertium non datur. Nessuna parola tra di loro. Nessuna libertà di circolazione per persone o idee. Altro che autodeterminazione dei popoli. Principi per i quali pur ci s’impegnava tanto solennemente ad ogni pié sospinto in ogni sede e ad ogni occasione. E per i quali si versavano giornalmente oceani d’inchiostro su giornali e tabloid. Io non voglio più parlare con te. Tu non devi più parlare con me. Due sistemi diversi. Due monete diverse. Due modi di vestire, due modi di vivere, due diverse concezioni del mondo. Con gli unici varchi di comunicazione tra le due realtà immancabilmente militarizzati, supersorvegliati e in perenne allerta rossa. Celebre il check point “Charlie” collocato nel pieno centro di Berlino e teatro privilegiato d’innumerevoli spy story. Il tutto in un assordante, cupo silenzio carico di tensione e di sospetto. Un silenzio opprimente e angoscioso lacerato a volte dalle raffiche dei mitra esplose dai famigerati Vopos, le spietate guardie confinarie dell’Est. Spari cui puntualmente corrispondeva un povero cristo in fuga fulminato senza pietà nella terra di nessuno ad agonizzare sotto lo sguardo inorridito dei cittadini impotenti. Quell’uomo, forse, stava cercando di superare il baluardo soltanto per ricongiungersi alla famiglia d’appartenenza, rimasta tagliata “dall’altra parte” della cortina di cemento. Ma non c’era niente da fare. Le sentinelle rosse, trasformatesi presto in spietati aguzzini, sapevano essere davvero crudeli, e ogni disgraziato impallinato come una quaglia su quell’orrendo strumento di morte “doveva” per forza essere una volgare spia o un bieco “nemico del popolo” servo degli americani. L’insensatezza del male. A volte, però, vale la pena aspettare per vedere come va a finire. E un giorno accadde l’impossibile. Era il 9 novembre 1989 quando all’improvviso venne dato l’annuncio dell’apertura delle frontiere tra i due settori della città. L’infame barriera era finalmente caduta e la Germania si ritrovò unita. Si trattava della fine di un incubo. Una folla di persone ebbre di speranza ed eccitazione dette l’assalto agli oltre i 100 km del vallo. La parola d’ordine fu: “Sparateci a tutti adesso!“. La stessa folla smantellò con le proprie mani quell’enorme monumento alla follia di cui oggi restano visibili solo pochi resti. Un’orrida testimonianza storica. Per non dimenticare ciò che è stato, insomma. Il risultato fu che nel 1990, mentre Roger Waters, ex bassista dei Pink Floyd, eseguiva il brano di successo “The Wall”, in Germania si festeggiava il primo anno della caduta del Muro. Tutto è bene quel che finisce bene? Manco per sogno. E’ una libertà pagata a caro prezzo quella della Germania. Ma questo lo si è capito solo “dopo”, in ossequio a quella carogna dell’eterogenesi dei fini. Caduti i muri e passata la festa, infatti, un fiume d’umanità sofferente, preda di guerre, miseria e arretratezza, si è riversata da est e da sud verso la sponda nord del Mediterraneo. Pavida e impotente, l’Europa dell’epoca, scossa da antichi timori e percorsa da ataviche paure, ha voluto unire a sé il destino della neoriunita Germania attraverso l’adozione di una moneta unica comune. Il tutto per garantire e garantirsi da ogni “brutta sorpresa” da parte degli irriducibili, detestati crucchi. L’operazione si è rivelata un clamoroso boomerang. Non è stata l’Europa a irreggimentare il minaccioso gigante teutonico, ma il leviatano a impossessarsi del flaccido e avvizzito corpaccione dell’Europa. Oggi, una possente Germania in preda alla sindrome da revanchismo, in coppia con una Francia subalterna ma in perenne delirio di grandezza, detta le regole all’interno del nuovo universo concentrazionario instauratosi all’interno dell’UE. Il Regno Unito, disgustato, ha preferito abbandonare l’Unione senza mai neppure sognarsi di aderire alla moneta unica. I paesi cosiddetti di Visegrad sono invece sul piede di guerra, del tutto refrattari alle suicide politiche economiche, immigrazioniste e sociali portate avanti con autolesionistica pervicacia da Berlino e Parigi. Fatto sta che il muro di mattoni oggi non taglia più le due Germanie ma in compenso ne è stato eretto uno ancora più poderoso e inquietante - perché invisibile - a tracciare il discrimine tra i paesi “virtuosi” e i cosiddetti “Pigs” annidati all’interno dell’Unione. Vale a dire i disinvolti possessori di “debiti sovrani” giudicati esorbitanti, insostenibili, pericolosi e forieri di sventure. Non per nulla in lingua tedesca il lemma “Schuld” sta ad indicare “debito” ma anche “colpa”, “peccato”. La prima vittima di questa scellerata, arrogante diarchia, ribattezzata pomposamente “Asse Carolingio”, è stata la Grecia, obbligata, per il suo debito smisurato, a un decennio di recessione e regressione che ha visto incrementare a livelli vertiginosi miseria, disperazione e suicidi. La Spagna, costretta alla stessa cura dimagrante, ha sofferto più o meno le identiche conseguenze. E pensare che per ovviare a questi inconvenienti basterebbe possedere una banca centrale in grado di garantire a pieno titolo le obbligazioni emesse dai singoli Stati. Proprio quel che sta avvenendo di questi tempi con l’operazione di “Quantitative easing” varata dall’amministrazione Draghi. Un escamotage fortemente osteggiato da Berlino, ma che bene o male ha conferito piena stabilità all’asfittica economia continentale sempre in preda a crisi deflattive. Fatto sta che la Q. E. ora è sul punto di concludersi, e se le cose non cambieranno, le prossime vittime di Maastricht potremmo essere noi. Forse aveva ragione Andreotti: “Amo così tanto la Germania che una sola non mi basta. Ne voglio almeno due”….


Angelo Spaziano

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