(ASI) San Benedetto del Tronto (AP) - Nel 2017, in occasione della ricorrenza del “Rogo del Ballarin” del 7 giugno 1981, la più grave tragedia in uno stadio italiano, scrissi un articolo per ricordare questo tragico evento che ha segnato la vita di diverse decine di persone che si sono dovute sottoporre a diversi interventi chirugici nel corso degli anni, e strappato la vita di due giovanissime ragazze Carla (21 anni) e Maria Teresa (23 anni) che rimasero ustionate dalle fiamme per oltre il 70% del corpo.
A distanza di quasi quarant'anni da quella calda domenica di Pentecoste, in cui si disputò nello Stadio “Ballarin” di San Benedetto del Tronto, l'ultima gara del campionato di C1 girone B 1980/81, fra Sambenedettese e Matera che decretò la promozione in Serie B dei padroni di casa, sono passati 37 anni, la società, le persone e l'aspetto urbano della città (come si può vedere da vecchie foto) sono cambiate in modo sostanziale e i ricordi iniziano a sbiadinre con la scomparsa dei testimoni chiave di questo avvenimento che ritengo rilevante non solo per la storia locale, ma anche per quella nazionale, nell'ambito dei drammatici anni per l'Italia 1978 – 1981 che da cronaca stanno diventando ormai storia.
Personalmente, non conoscevo quanto accaduto allo Stadio “Ballarin” nel 1981, fino all'anno scorso, quando lessi un post di Facebook di un mio amico sambenedettese e così decisi di scrivere un articolo senza citare i nomi delle due vittime e altri dettagli della tragedia.
In quei giorni, forse preso dalla suggestione su quanto avevo letto, oppure per motivi soprannaturali, per chi crede nella vita ultraterrena, ho avuto un sogno molto realistico, in cui ho visto due giovani ragazze, di cui una mi si fermò a parlare toccandosi i lunghi capelli, prima felice, chiedendomi se gli piacevano le sue chiome fluenti, poi improvissamente triste, dicendomi che non voleva essere dimenticata, sussurrandomi un nome che digitandolo sul motore di ricerca, mi ha permesso di approfondire le ricerche sui ricordi della sua vita e sulla tragedia del “Ballarin”.
Quel sogno mi turbò e per un periodo ho pensato costantemente al “Rogo del Ballarin” e alle due giovani ragazze che hanno perso la vita in quella giornata di sport trasformatasi in tragedia, così iniziai appassionatamente a leggere notizie ed a trarre informazioni su questa vicenda, sia sul web, sia raccogliendo qualche testimonianza diretta, sia documentadomi sulla vita e le abitudini dei ragazzi italiani a cavallo fra gli anni 70' e 80', così casualmente scoprii che Maria Teresa Napoleoni, una delle due vittime, risiedeva vicino l'abitazione del mio amico che vado a trovare spesso a San Benedetto, la cui casa, tra l'altro, era stata edificata successivamente proprio sul terreno dove sorgeva il complesso commerciale “Silvano Shoes”, dove Maria Teresa lavorava.
Saranno delle coincidenze, ma ho considerato questo un segno che dovevo scrivere qualcosa su di lei, per contribuire a non dimenticare la sua storia, tenendo viva la memoria.
Così, dopo emozioni provate ed idee che mi sono fatto appassinandomi a questa storia, alcune delle quali resteranno dentro di me, la raccolta qua e là di brandelli di testimonianze di vecchie sue conoscenze, amiche d'infanzia e di scuola che lodavano la sua gentilezza con tutti, la sua dolcezza in particolar modo con i bambini, il suo perenne sorriso, l'amore e il rispetto che nutriva per la famiglia e per i suoi genitori, la sua bellezza solare, fine e femminile, lunedì scorso sono stato a trovare la madre di Maria Teresa per raccogliere la sua testimonianza diretta.
Sono stato ricevuto dalla anziana signora, Sara, 93 anni, accompagnata dalla giovane nipote, nella casa dove Maria Teresa viveva e dove tutt'ora è presente, sia nel ricordo dei suoi cari, sia nelle foto e negli oggetti che le sono appartenuti nella vita terrena, custoditi soprattutto nella sua cameretta, dove ogni cosa parla di lei, dalla vecchia carta da parati sulle pareti (ormai consumata), dal mobilio, agli oggetti e alle suppellettili che dimostrano ancora oggi il suo grande amore e la cura per il bello e per il ricamo, fino ad arrivare all'atmosfera della stanza, dove se ci si immedesima per un attimo, concentrandosi, sembra quasi che ci viva ancora Maria Teresa a distanza di tutti questi anni, nonostante non abbia più fatto ritorno a casa dal pomeriggio di quel 7 giugno 1981, quando si diresse con la sua vespa rossa allo Stadio “Ballarin”.
La signora Sara, molto avanti con gli anni e non in ottime condizioni di salute, ha trovato la forza di parlare qualche minuto con me, e sono stato felice ed emozionato di farlo, per immortalare la sua testimonianza, ed evitare che il ricordo di una testimone diretta della vita della ragazza venisse meno, affinché potesse restare un ricordo di Maria Teresa oltre l'esistenza umana, anche oltre la vita e la memoria dei testimoni diretti che hanno vissuto sulla propria pelle quella immane tragedia.
La signora Sara, dopo avermi detto che Maria Teresa era andata allo stadio con una amica (con cui al dire il vero mi sarebbe piaciuto scambiare due chiacchiere), mi ha fatto leggere e fotografare i toccanti messaggi che la figlia le ha scritto a penna durante il calvario dei giorni di ricovero all'ospedale Sant'Eugenio di Roma, prima che interrompessi l'intervista per la commozione.
Nel breve messaggio, impostato come un diario di appunti giornalieri che inizia l'8 giugno e termina il 10 giugno (Maria Teresa lascerà questo mondo all'alba del 13 giugno 1981), traspare l'amore per i genitori (non volendo che la madre la veda in tali condizioni), il suo sconforto, la sua sofferenza, ma anche la sua voglia di continuare a vivere, prima che la morte se la porterà via, per il peggiorare delle sue condizioni nei giorni successivi.
Maria Teresa era in ospedale vegliata da una zia, perché non voleva che la madre la venisse a trovare in quelle condizioni, ma le ha lasciato un messaggio preziosamente custodito 37anni.
Si legge nel messaggio di Maria Teresa alla madre che pubblichiamo in foto nel suo formato originale, insieme ad una immagine del volto di Maria Teresa, dove è possibile ammirare al meglio la fine bellezza dei tratti del suo viso e del suo sorriso:
“Dite a mia madre che la amo tanto, ma non voglio che mi veda così” (8.6.1981)
“...le mani non me le sento, non potrò più lavorare?” (10.6.1981)
Cristiano Vignali – Agenzia Stampa Italia