(ASI) Nel caso in cui una persona subisca un danno non valutabile economicamente, sorge il problema della sua quantificazione, non potendosi facilmente dimostrare che al pregiudizio subito corrisponda immediatamente una somma di denaro.
Quando, per esempio, in seguito ad un incidente stradale riportiamo delle lesioni che lascino conseguenze permanenti, non possiamo esibire, ai fini del risarcimento, uno scontrino o una fattura, come se fosse andato danneggiato un nostro oggetto. In vicende simili abbiamo bisogno di un parametro che ci consenta di quantificare, in termini economici, l’ammontare del nostro danno, che non può definirsi patrimoniale, in quanto non ha riflessi diretti sulla nostra capacità di produrre reddito.
Nel panorama dell’ordinamento italiano la soluzione è arrivata dalla produzione giurisprudenziale che, avvalendosi di tabelle equitative, è riuscita ad elaborare criterî uniformi, elastici e flessibili, per riuscire, innanzitutto, a computare l’entità del danno ed in secondo luogo a liquidare, dal punto di vista monetario, il pregiudizio subito.
La Cassazione infatti, ha più volte ribadito che questo tipo di danni va valutato secondo equità, in quanto non sarebbe possibile stimarlo altrimenti, meno che mai secondo i parametri del danno patrimoniale, dove si può beneficiare di criteri di stima molto più precisi ed oggettivi, come nel caso di una vettura danneggiata (basterà, in simili eventi, produrre il preventivo di riparazione, per dimostrare a quanto ammonta il torto).
La liquidazione equitativa prevede due diverse e distinte fasi: la prima consiste nell’individuazione dei parametri uniformi di base, mentre la seconda prevede la personalizzazione dei parametri di base, come adombrato sin dal 1986 dalla Corte Costituzionale. Negli ultimi decenni i diversi tribunali italiani hanno provveduto ad elaborare proprie tabelle, fino a quando la Cassazione, stanca forse e preoccupata delle disparità di trattamento sullo stesso territorio nazionale, ha caldeggiato l’adozione, da parte di tutte le curie, delle tabelle elaborate dall’Osservatorio sulla Giustizia civile presso il Tribunale di Milano.
Il problema nasceva, infatti, dall’assenza di parametri previsti dalla legge, il che ha comportato lo sforzo interpretativo di dottrina, prassi e giurisprudenza. Oggi il metodo tabellare è l’unico utilizzato in Italia, quando si tratta di danno biologico, danno morale, danno da perdita del rapporto parentale e così via. Vi sono state alcune eccezioni, come la legge emanata in occasione della tragedia del Cermis, che prevedeva il ristoro di 3,8 miliardi di lire a ciascuna famiglia di ogni persona deceduta. Ma in quel caso si trattava di risolvere anche una grave esposizione politica dell’Italia, dato la maggioranza delle vittime era costituita da cittadini stranieri, mentre l’omicida colposo era un militare americano. Di fronte al tentativo della prassi di agganciare i risarcimenti per i familiari di persone decedute in occasione di sinistri diversi da quello, la Cassazione ha precisato che la somma prevista per le vittime del Cermis rimane un unicum, non suscettibile di accostamenti analogici ad altri episodi più legati alla vita quotidiana.
Francesco Maiorca-Agenzia Stampa Italia