(ASI) Parigi – Arriva la prima inchiesta su un tema molto dibattuto nella new economy ma mai concretamente affrontato, quello della obsolescenza di prodotto; chiamata in modo più appropriato obsolescenza pianificata.
Si tratta di una strategia volta a definire il ciclo vitale di un prodotto in modo da limitarne la durata a un periodo prefissato. Il prodotto diventa così inservibile dopo un certo tempo, oppure diventa semplicemente obsoleto agli occhi del consumatore in confronto a nuovi modelli che appaiono più moderni, sebbene siano poco o per nulla migliori dal punto di vista funzionale.
Eppure questa “strategia” ha origini lontane, nasce infatti nel 1932 quando un mediatore immobiliare Bernard London propose che fosse imposta alle imprese per legge, l’obsolescenza pianificata così da poter risollevare i consumi negli Stati Uniti durante la grande depressione.
I metodi più conosciuti, con cui viene attivato il processo sono l'utilizzo di materiali di scarsa qualità o componenti facilmente deteriorabili oppure attraverso l'utilizzo di sistemi elettronici creati ad hoc.
Tutto questo ovviamente viene sfruttato dalla pubblicità che propone al consumatore nuovi modelli non necessariamente più sviluppati funzionalmente, ma con elaborate differenze sull’estetica del prodotto al fine d'invogliare il consumatore all’acquisto e quindi alla sostituzione del vecchio prodotto con il nuovo.
L'obsolescenza programmata, dunque, crea benefici esclusivamente per chi produce e non per chi consuma, che il più delle volte si sente obbligato ad acquistare un nuovo prodotto per sostituirlo con il precedente.
E’ notizia recente che la Giustizia francese, abbia aperto un’inchiesta contro Apple con l’accusa di obsolescenza pianificata e truffa. Quanto successo non è una novità per la società di Cupertino che già nel 2003 venne citata in giudizio con una class action, a causa della durata delle batterie dell'iPod, che secondo l'accusa erano volutamente programmate con una breve vita, così da costringere il consumatore a comprare un nuovo modello, dopo un limitato periodo di tempo, stimato intorno ai 18 mesi, con l’aggravate che l'Azienda in origine non offriva sul mercato le batterie di ricambio. La Apple ha accettato di offrire rimborsi ai clienti che riscontravano batterie difettose e anche di pagare le spese legali dei denunciatari, senza però ammettere la responsabilità di reato.
In questo caso, l’inchiesta è una novità per la giustizia francese perché per la prima volta una procura accerterà se Apple abbia messo in atto tecniche per ridurre deliberatamente la durata di funzionamento di un prodotto, con lo scopo di velocizzare i tempi della sostituzione e quindi vendere di più.
Il colosso americano, secondo la legge francese rischia una multa fino al 5 % delle vendite annuali e il management fino a 2 anni di carcere. E’ partito tutto dalla denuncia presentata nel mese di dicembre da un’associazione di tutela dei consumatori, che da tempo si batte contro questa pratica aziendale dannosa non solo dal punto di vista sociale ma anche ambientale.
In merito a quanto avvenuto c’è da domandarsi anche se dal punto di vista economico tutto ciò porti realmente dei benefici aziendali in termini di reputazione aziendale, al giorno d’oggi sempre più difficile da mantenere ma soprattutto come asset strategico per spingere la vendita dei nuovi prodotti. Su questo Werner Scholz, presidente dell’Associazione dei produttori di elettrodomestici tedeschi (Zvei), ha espresso più volte numerosi dubbi sulla lungimiranza dell'obsolescenza pianificata come politica aziendale, dato che, dopo aver comprato un prodotto risultato a breve termine scadente, il cliente probabilmente acquisterà lo stesso prodotto da un altro produttore, senza creare alcun beneficio per l’azienda produttrice iniziale ma solo per il mercato di riferimento nel principio di libera concorrenza.
Edoardo Desiderio – Agenzia Stampa Italia