(ASI) Città del Vaticano – Il Santo Padre, all’udienza generale del mercoledì riprende il filo del discorso da dove lo aveva interrotto, la scorsa settimana e continua con l’approfondimento sulla speranza.
Citando san Paolo, il Santo Padre invita a riflettere sulla dimensione comunitaria della famosa virtù cardinale. Non si tratta, semplicemente di aiutarsi gli uni gli altri nelle vicende principali della vita, pur essendo doveroso, ma si tratta di sostenersi a vicenda nella speranza. E per primi tocca a coloro che hanno la responsabilità nella Chiesa non perché siano i migliori ma in forza di un ministero divino, che merita rispetto, comprensione e supporto da parte dei tutto il popolo di Dio.
Papa Francesco dedica la sua attenzione, in primis, a coloro che rischiano di perdere la speranza e di cadere nella disperazione. Perché senza speranza non si hanno più rimedi contro l’abbattimento, con la conseguenza di “fare cose brutte”. Per debolezza, per il peso della vita e delle proprie colpe, ad un certo punto non ci riesce più a sollevare. In questi frangenti c’è bisogno delle vicinanza della Chiesa, attraverso la compassione, da distinguere, dice il Pontefice, dal compatimento. La compassione ti fare soffrire con l’altro, attraverso gesti concreti come “una parola, una carezza, ma che venga dal cuore; questa è la compassione”. La speranza cristiana, infatti, secondo Bergoglio, non riesce a fare a meno della genuina carità. A tal proposito, il Santo Padre, ricorda le parole di san Paolo che dice: Noi, che siamo i forti – che abbiamo la fede, la speranza, o non abbiamo tante difficoltà – abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi”(15,1). Per questo motivo, un cristiano mai potrà dire “me la pagherai”, mai, ricorda Francesco, in nessun caso, perché non è un comportamento per i discepoli di Cristo. Chi ha scelto di seguire il Maestro è invitato a fare come Lui, in piena libertà, ad offrire l’intera sua vita per la salvezza degli altri. Chi ci offende, chi ci umilia, chi ci fa del male non opera secondo Dio, sta, quindi, distruggendo anche la sua vita. Il cristiano è chiamato a percorre la via dell’amore, “forte e tenero al tempo stesso”, dice il Papa.
Ecco perché, il vescovo di Roma, intende la speranza in una dimensione comunitaria. “Nessuno impara a sperare da soli”, ha affermato, perché se ancora abbiamo fiducia nel Signore è perché qualcuno, prima di noi, ci ha insegnato a sperare, ci ha fatto vedere la gioia nelle loro difficoltà o nelle nostre e ci è stato vicino.
Chiudersi in noi stessi, alla ricerca di una sicurezza relativa solo a noi, non è sperare, ma rintanarsi nella speranza di farcela. E questo non è un sentimento cristiano.
Ilaria Delicati – Agenzia Stampa Italia