I Patti Lateranensi:
Firmati l’11 febbraio 1929, i Patti Lateranensi furono, per Mussolini e per molti fascisti, una sgradevole necessità politica cui essi aderirono obtorto collo. Data la sua natura, non certo confessionale, non era nelle corde del Regime il fare della Chiesa Cattolica le concessioni che i Patti comportarono; ma i decenni di logoranti contrasti che avevano caratterizzato i rapporti tra Stato e Chiesa, sino alla unificazione nazionale conclusasi con la breccia di Porta Pia, dovevano essere sanati ad ogni costo.
D’altra parte, nessuna concessione, nessun compromesso fu fatto sulle prerogative essenziali dello Stato, soprattutto per quanto riguardava l’educazione dei giovani, che anzi rimase allo Stato, dato il rafforzamento della scuola pubblica. Non si può dimenticare che il popolo Italiano era all’epoca, nella sua maggioranza, cattolico osservante e che quindi stava vivendo una tragica schizofrenia nel contrasto tra i propri doveri di fedeltà allo Stato e di fedeltà alla Chiesa. Né il clero, ispirato dal Vaticano, tendeva a sopire i contrasti, ma anzi, li fomentava. Era una situazione insostenibile ed obiettivamente difficile per chi, come Mussolini, aveva in mente di operare cambiamenti radicali nella società e non aveva certamente bisogno né di opposizione precostituita, né di resistenze passive, né di zavorre. I Patti Lateranensi furono un’operazione non gradevole ma necessaria, che fu compiuta nell’ottica del progetto di riunire compattamente il popolo italiano per potere efficacemente operare le riforme e la rivoluzione sociale, difficili, se non impossibili da attuare, con un popolo diviso in fazioni contrastanti.
In più, avendo la Chiesa Cattolica un’influenza su quasi tutte le nazioni occidentali, la pace con essa rappresentava un notevole miglioramento dell’atteggiamento delle altre nazioni verso l’Italia e il suo governo. Chi non capisce, o non vuole capire la complessità della situazione e la necessità di togliere dal panorama politico italiano di allora questo problema incancrenito, o è in malafede o non né ha la sensibilità politica, né l’intelligenza per capire. Per tutti i motivi su esposti e per rasserenare la società civile italiana, il governo fascista concluse i Patti Lateranensi, pagando un prezzo economico, politico ed ideologico, ma assicurandosi l’appoggio della Chiesa, almeno fino a quando il vento fu in poppa e non si delinearono la sconfitta bellica e il disastro politico. Dopo di che, come sempre in tutti i suoi 2.000 anni di storia, la Chiesa Cattolica cambiò rotta, maledisse quelle bandiere che aveva benedetto sino al giorno prima, lanciò l’anatema contro colui che il Papa aveva definito “l’Uomo della Provvidenza” e si trovò pronta ad ereditare il nuovo potere. Ma questo è un altro discorso.
Leggi promulgate rispettivamente il 13.05.1929 con Regio Decreto n°928 e il 23.03.1933 con Regio Decreto n°264
Nel quadro della ristrutturazione del mondo del lavoro e dei rapporti tra i lavoratori e lo Stato, queste due leggi risolvono l’annoso problema delle conseguenze negative che situazioni accidentali potevano procurare a chi lavorava in particolari settori. Importantissimo è il riconoscimento dell’esistenza di malattie professionali, e cioè di situazioni di lavoro che implichino una diretta relazione con la possibilità di ammalarsi, perché è solo da tale principio che possono e devono discendere tutte quelle provvidenze atte ad eliminare nella pratica queste situazioni di insalubrità e di pericolosità. Altro concetto ribadito da queste leggi è quello che riconosce il lavoro come diritto-dovere di ogni cittadino e come un servizio reso allo Stato e alla comunità nazionale, i quali, proprio per questo, riconoscono dal canto loro il dovere di assistenza verso coloro che, a causa di tale servizio, subiscano danni permanenti.
Con queste leggi si assicura un futuro dignitoso a coloro che, non avendo raggiunto i limiti di età per la normale pensione di anzianità, si trovino nella impossibilità di lavorare ancora a causa di infortuni o di sopravvenute malattie professionali, senza dover dipendere dalla carità pubblica e privata, come succedeva prima.
Riduzione dell’orario di lavoro a quaranta ore settimanali
Regio Decreto n°1768 del 29.05.1937
Non appena le condizioni generali dell’economia e dell’industria italiane lo permettono, il Fascismo continua la marcia intrapresa sin dal 1923 in direzione della riforma globale del mondo del lavoro, investendo parte del vantaggio economico nella ulteriore diminuzione dell’orario di lavoro e sottolineando il principio che il lavoro ed il profitto debbono essere strumenti e non fini della società.
Questa legge, conosciuta più genericamente come “Sabato Fascista”, è un ulteriore passo in avanti nella umanizzazione del lavoro e dimostra che la direzione intrapresa dal Fascismo tende a migliorare continuamente la posizione dei lavoratori, come si evince da tutta la numerosa successione delle leggi sociali, culminata con la Socializzazione delle imprese realizzata dalla Repubblica Sociale Italiana nel 1944. L’obiettivo è quello di formare uno Stato del lavoro, in cui la figura del lavoratore assuma il ruolo di protagonista ed una dignità ed un’importanza mai avute prima, e neanche dopo.
Legge istitutiva dell’ECA (Ente Comunale di Assistenza)
Legge promulgata il 03.06.1937 con Regio Decreto n°847 G.U. del 19.06.1937
Viene istituito, in ogni comune del Regno, l’Ente Comunale di Assistenza, allo scopo di assistere individui e famiglie in stato di necessità e di coordinare e controllare tutte le altre associazioni esistenti che abbiano analogo fine.
Si tratta dunque di riordinare l’assistenza pubblica e privata ai bisognosi e di estenderla capillarmente a tutti i comuni d’Italia. L’Ente viene finanziato da un’apposita tassa addizionale e dalle rendite del patrimonio o di istituzioni da esso amministrate.
Davide Caluppi - Agenzia Stampa Italia
Fonte: I Danni del Fascismo, di Alessandro Mezzano