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Antonio Romano:Scrivo per divertirmi con chi mi legge


Antonio Romano è un giovane scrittore, classe 1985, che ha già alle spalle più di dieci libri. Seguace dello stile hard-boiled predilige il genere giallo che però ha rivisitato e corretto con un stile tutto suo che ne hanno fatto un unicum nel panorama letterario italiano, permettendogli di ritagliarsi una nicchia di mercato tutta sua.             Da poco è inoltre sbarcato sul mercato mondiale del iPad tramite il giallo “Chi ha paura di Babbo Natale?”.

 

Lei ama il genere giallo ed ha lanciato anche un suo personale investigatore, Bob Orango. Come è nato questo personaggio molto particolare?

Dal desiderio di scorrettezza che chiunque di noi può provare in una società feticisticamente attaccata al corretto. Accettiamo ogni cosa, purché giochi secondo le nostre regole, ma se una cosa esce da seminato la rigettiamo. Siamo ragionevolmente ipocriti. Bob Orango è un irragionevole, incivile, incomprensibile e ingiustificabile investigatore privato che contribuisce a catturare dei criminali. La discrasia rispetto al giallo convenzionale sta nel fatto che niente distingue Orango dai personaggi che acciuffa: non è più nobile, più bello o più bravo. È identico, solo che fa il contrario, senza nemmeno farsi carico di una crociata per la rettitudine: lo fa perché lo pagano. Giustizia tre per due, insomma, come sempre.

 Cosa rappresenta per lei la scrittura? È più una voglia di evadere dalla realtà o un bisogno di comunicare con gli altri?

Per evadere dalla realtà ci sono mezzi più efficaci e meno faticosi. Comunicare agli altri è impossibile: capiscono sempre quello che vogliono loro e come lo vogliono loro. Scrivo per divertimi con chi mi legge.

 

Lei, con Non fidarti di Babbo Natale è stato uno dei primi autori italiani a sbarcare sul mercato mondiale rappresentato dall’iPad, la novità del momento. Pensa che questo strumento possa aumentare il numero dei lettori nel nostro Paese?

Decisamente sì. Io sono un fanatico della libreria e della carta, almeno in teoria. Poi nella pratica posseggo duemila volumi che consulto di frequente e detesto l’ignoranza degli attuali spacciatori di carta stampata, per cui sono felice che esista un mezzo che riduce l’ingombro e le difficoltà legati alla mole dei libri e annulla l’umiliazione di dover sillabare ai commessi i cognomi degli autori.

 In Italia si dice ci siano più scrittori che lettori. Quando è difficile per un autore emergere in un mercato abbastanza ristretto?

Gli autori italiani, come diceva Moravia, hanno la fissa di voler fare i poeti: vogliono essere imparati a memoria, come Manzoni... quel ramo del lago etc... Sono vanesi e non emergono perché non sanno scrivere. Per di più il pubblico è ignorante. È come voler fare i cuochi senza saper cucinare in un paese di anoressici. Paradossalmente è molto più facile fare lo scrittore se ci si specializza in qualcosa e ci si affida a una nicchia di lettori. Ovviamente, in tutti gli altri casi, è quasi impossibile.

 Che sensazione prova quando termina un nuovo libro?

All’inizio mi piaceva molto. E ancora mi piace molto. Il problema è tutto nella seconda settimana. Fino a sette giorni dopo la parola FINE tutto è bello. Dall’ottavo inizio a preoccuparmi di rileggere, correggere, farlo leggere ad altri, modificare e, soprattutto, trovare un editore che lo valorizzi. Quando ho iniziato a scrivere, invece, non m’importava nulla di tutto questo e, sostanzialmente, la vivevo meglio.

 Quali sono gli autori che più hanno influito sul suo stile e sulla sua formazione culturale?

Borges, Nabokov, Tomasi di Lampedusa, Neruda, Conan Doyle, Poe; sicuramente ne dimentico molti, ma direi sostanzialmente questi.

 Quanto sono importanti le presentazioni ed il contatto diretto con il pubblico per promuovere i suoi libri? Le case editrici con cui ha pubblicato l’hanno aiutata da questo punto di vista?

Questo è un punto cruciale. I piccoli editori, purtroppo, hanno seri problemi con la distribuzione e la promozione. Internet aiuta, ma rimane un palliativo. Il problema è che pochi hanno capito che fare l’editore non è “un’avventura intellettuale”, ma un mestiere. Scrivere può essere un’avventura intellettuale, ma promuovere e distribuire un libro no. Le presentazioni, se non sei famoso, non servono a nulla e il contatto col pubblico serve se la tua lettura è una performance, cioè se intrattieni il pubblico, viceversa gli rompi solo le scatole e nessuno compra niente. Se poi lo scopo delle presentazioni e del contatto col pubblico è far girare il proprio nome e la propria arte è peggio che farsi un bagno dopo mangiato.

Che consiglio si sente di dare a chi sogna di fare lo scrittore?

Di svegliarsi.

 

Adesso a cosa sta lavorando? Quando potremo leggerlo?

Quando non so, di solito quando trovo un editore disposto a pubblicare. Sto lavorando a una storia d’amore, con un non-lietofine e una trama complessa. Praticamente un libro geniale.

 

Biografia: Antonio Romano è nato a Bari nel 1985. ha già scritto una dozzina di libri. Gli ultimi in ordine di tempo sono: Dipende dal cuoco per la Pulp edizioni nel 2007; Non fidarti di Babbo Natale per la Fuoco nel 2008; Quando suona il gong, insieme a Pierluigi Felli nel 2010 sempre per i tipi della Fuoco.

 

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