(ASI) 67 anni dopo la strage Napolitano rende omaggio ai caduti di Porzus. Presente anche l'ANPI. Sessantasette anni dopo una strage onta per la Resistenza, il Presidente della Repubblica riconosce le ‘zone d’ombra’ del fenomeno partigiano: La grande storia della Resistenza ha avuto anche ombre, macchie e la più grande è l’eccidio di Porzûs (Fausto Biloslavo, Il Giornale del 30 maggio 2012). Sessantasette anni di silenzi e mistificazioni. Nel 1997 un film di Renzo Martinelli aveva aperto un piccolo spiraglio sulla vicenda delle Osoppo, le formazioni cattoliche decimate alle Malghe di Porzus, il 7 febbraio 1945.
Difficile cercare di penetrare il muro che una parte della storiografia resistenziale ha voluto erigere a custodia di segreti inconfessabili, per anni nascosti all’opinione pubblica in un più ampio contesto di mitizzazione della lotta partigiana.
Ma è noto, alcune verità sono come i resti dei naufragi, prima o poi riemergono e raggiungono la riva, quasi a voler essere testimonianza di una tragedia che non può e non deve essere dimenticata.
Il 7 Febbraio 1945 un manipolo di garibaldini guidato da Mario Toffanin (Giacca), percorre i tratturi di Porzus, località a nord di Udine.
Montagna, foresta e neve fanno da sfondo ad una marcia che conduce Giacca e i suoi fino alle Malghe, dove staziona la Brigata Osoppo.
Osoppo, come quel comune friulano tra i primi a sollevarsi contro l’Austria nel 1848 e per questo decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Un nome simbolico, risorgimentale, che richiama alla lotta contro il ‘tedesco’ per l’indipendenza del Paese. L’annessione germanica di Friuli-Venezia Giulia, Fiume e Lubiana (Operationszone Adriatisches Küstenland) accentua il carattere storico ed ideologico del nome scelto.
Gli osovani non sono comunisti. Tra le loro file ci sono cattolici, liberali, monarchici, ex militari del Regio Esercito.
Nei primi mesi del ’45, con la Wehrmacht ormai in rotta su tutti i fronti, il confine orientale dell’Italia è sempre più nelle mire del IX Corpus sloveno che può contare sull’appoggio di comunisti italiani che hanno abbracciato la causa di Tito.
Le mire titine in territorio italiano preoccupano il governo della RSI. Salò non ha autorità sui territori annessi al Reich, ma preservare l’italianità delle province orientali diventa una questione vitale. Alcuni battaglioni della Decima Mas di Borghese raggiungono le aree di confine, ingaggiando combattimenti con le forze slave.
Per respingere l’avanzata nemica occorrono però rinforzi. Gli uomini della Decima, facendo leva sul sentimento patriottico degli ufficiali Osoppo, propongono a questi ultimi una collaborazione per mantenere italiane Friuli e Venezia Giulia.
Un anno e mezzo di guerra civile non aiuta a superare le divisioni tra le due fazioni e la Osoppo non accetta. La notizia dell’incontro tra i partigiani e i marò comincia però a diffondersi.
Una buona occasione per Giacca che ne approfitta per liquidare chi non ha accettato di passare agli ordini di Tito. Diciassette morti il bilancio finale. Nel ’46, onde evitare problemi, Toffanin trova rifugio in Jugoslavia. La Corte d’Assise di Lucca, riconosciuta la sua responsabilità nel crimine perpetrato alle Malghe, lo condanna all’ergastolo in contumacia. Nel ‘ 78 il Presidente della Repubblica Sandro Pertini lo grazie; riceve anche una pensione.
Al danno la beffa. La Osoppo non dimentica il torto subito: alcuni componenti della brigata aderiranno, dopo la guerra, alla struttura NATO stay behind conosciuta come Gladio.
Neanche i parenti delle vittime e i sopravvissuti dimenticano e le parole dei garibaldini “Abbiamo liquidato fascisti” risuonano ancora nella testa di Severino Zucco, fratello minore di un assassinato.
Ironia della sorte, tra i diciassette caduti anche il fratello di Pier Paolo Pasolini, Guido (al quale il poeta dedicherà alcuni versi) e Francesco De Gregori, zio del cantautore e comandante della formazione.
La macchina del fango e della mistificazione si mette in moto. La guerra passa dai colpi di machine pistole alla propaganda, capace di trasformare un delitto in un atto di giustizia.
Mezzo secolo di silenzi ha fatto il resto e la targa metallica scoperta il 30 Maggio da Napolitano non ha completamente rimarginato la ferita-
Il lavoro di storici onesti, spesso tacciato di revisionismo dall’ ANPI, ci consente oggi di leggere pagine di storia che raccontano di epurazioni e violenze consumatesi negli stessi ambienti della Resistenza. L’uccisione a Como di Luigi Canali (Capitano Neri) , capo di stato maggiore della 52^ Garibaldi e la scomparsa il 30 Marzo ’44 del capitano Mario Lupo sul confine tra Terni e Rieti, sono state avvisaglie di una logica netta, chiara e cinica: sgombrare il campo da qualsiasi ostacolo, umano e materiale, tra i comunisti e la rivoluzione.
Oggi, davanti ad una targa ed un Presidente ex PCI che sottolinea la vergogna di un gesto criminale, ANPI e Osoppo si guardano nuovamente in faccia. Non sappiamo con certezza se gli osovani abbiano perdonato i carnefici di Toffanin, ciò che è sicuro è che non dimenticheranno il movente assurdo dell’assassinio di diciassette partigiani per mano di altri partigiani.
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