(ASI) Roma - «Operatori e sanitari e cittadini, come al centro di un intricato labirinto, non riescono, da tempo, a trovare la via d’uscita, invischiati in una trappola rappresentata da un sistema sanitario fatiscente, dove alla base mancano, di fatto, da troppo, fondi sufficienti, quindi quell’indispensabile sostentamento economico per “produrre” una sanità di qualità a 360 gradi, ed essere in grado di affrontare, giorno dopo giorno, le nuove impegnative sfide che ci attendono.
In relazione alla popolazione, lo ha spiegato la Corte dei conti nell'ultimo Rapporto inviato al Parlamento il 19 gennaio scorso, “la spesa pubblica pro capite italiana è stata pari a 2.851 dollari, inferiore di oltre il 50% a quella della Germania (5.905; dollari), del 38,4% a quella della Francia (4.632 dollari), e del 31,4% a quella della Regno Unito (4.138 dollari)”.
Con numeri del genere, fare miracoli è difficile. Anzi risulta impossibile. Del resto, lo aveva confermato anche il Rapporto Crea Sanità 2023. L’Italia, nello scenario continentale, è un Paese che, tristemente, non investe abbastanza nella sua sanità. Non lo fa da anni in modo continuativo.
Ce lo dicono i numeri, i conti inesorabilmente non tornano, e a pagarne le conseguenze, alla luce dell’aumento dei legittimi bisogni socio-assistenziali legati all’invecchiamento della nostra popolazione, sono in primo luogo le strutture, con carenze evidenti, e naturalmente anche la qualità delle prestazioni.
Così in una nota Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
L’onda anomala investe, ovviamente, anche gli operatori sanitari, alla luce di quegli allarmanti dati Ocse che avevano già messo in luce che, categorie come quella degli infermieri italiani, letteralmente in balia delle onde, pagano un gap pesantissimo, a livello retributivo, rispetto ai colleghi europei.
Lo stipendio degli infermieri di casa nostra (riferito al reddito medio annuo lordo, comprensivo di contributi previdenziali e tasse sul reddito, ma con esclusione di straordinari e calcolato a parità di potere di acquisto), secondo l’Ocse risulta di 28.400 euro a fronte di una media UE di 35.300 euro.
Tutto questo trovava già appunto riscontro nello scenario che il Rapporto Crea Sanità, poche settimane fa, aveva evidenziato e che la Corte dei Conti non fa che corroborare.
Il Rapporto aveva evidenziato che alla sanità italiana manca all’appello un ulteriore finanziamento di 50 milioni di euro per avere un’incidenza media sul PIL analoga agli altri paesi dell’Ue.
La Corte dei Conti, con il suo report, non fa altro che scavare nel profondo di quella che potremmo definire una vera e propria stasi economica per la sanità italiana, lunghissima, intercorsa tra il 2008 e il 2019 e interrotta, gioco forza, dalla necessità di rimboccarsi le maniche, a partire dall’inizio del 2020, a causa dell’improvvisa emergenza sanitaria.
Ma in questo caso, lo abbiamo evidenziato più volte durante la Pandemia, tappare le falle all’improvviso, senza una programmazione, senza un investimento costante nel tempo, è stato come allargare le voragine, è stato come nascondere la polvere sotto il tappeto, e quelle lacune che ci sono sempre state e che nel tempo si sono aggravate, sono emerse quando il tappeto è stato sollevato, ma soprattutto è accaduto quando mancavano all’appello uomini e mezzi per affrontare il nuovo nemico.
Ci siamo ritrovati, tutti, cittadini e operatori sanitari, inermi e indifesi rispetto alla nuova battaglia da affrontare, che si è dimostrata da subito improba.
Una austerity che i professionisti della sanità e la collettività pagano, quindi, più che mai caro prezzo.
Mancano oggi all’appello 80mila infermieri, che si trasformano in una carenza che tocca picchi di 230-350mila unità se il confronto avviene con gli standard europei e con la necessità di colmare quei 2 punti di gap che indicano che in Italia, la media operatori sanitari/abitanti, è troppo bassa rispetto al resto dell’Europa.
Le assunzioni vanno avanti con il contagocce, il ricambio generazionale dei professionisti latita, gli infermieri oltre che sottopagati e vessati, vivono la realtà di ospedali spesso vetusti e disorganizzati: tutto questo scenario, desolante, è esattamente in controtendenza con una sanità che invece dovrebbe correre veloce, per sostenere le nuove sfide.
Tutto è inesorabilmente legato ad un piano di investimenti paurosamente insufficiente. Ma non è certo un problema nato ieri, continua De Palma.
Senza nuovi infermieri, senza nuovi professionisti delle altre qualifiche sanitarie, senza incentivazioni economiche in grado di trattenere i giovani e di ridare appeal alla professione, da tempo, i migliori sono destinati a fuggire via, all’estero, verso prospettive più incoraggianti, mentre chi resta sul campo, con una età media oggi di quasi 57 anni, viaggia verso la pensione: entro 15 anni chi rimpiazzerà quei 130mila professionisti uscenti?
L’aumento importante, a livello di investimenti, certo, è arrivato, ma quando è arrivato?
Solo nel 2020, la Corte dei Conti non mente.
Non si poteva fare altrimenti di fronte al nuovo virus: si è passati, ad esempio, infatti, dai 114,4 miliardi investiti del 2018 ai 131,7 previsti, ad esempio per quest'anno.
Ma i dati parlano chiaro e indicano che questa corsa recupera solo parzialmente la lunga stasi registrata fra 2008 e 2019, quando “l’Italia ha ridotto la spesa sanitaria in termini di Pil di due decimi di punto (dal 6,6%al 6,4%), mentre Francia, Germania e Regno Unito l'hanno aumentata di circa due punti percentuali, portandola ad un valore all'incirca pari o superiore al 10%”.
E’ come quando uno studente poco diligente non apre i libri per mesi e poi decide, in un colpo solo, di studiare tutto il programma per sostenere gli esami nei pochi giorni che gli restano. Che risultati otterrà?
E’ stato come provare a ricominciare a correre, gioco forza, dopo 11 anni di immobilità totale.
Le gambe tremano, mancano la forza e l’allenamento. E la strada che si presenta davanti a noi, e che accomuna cittadini e operatori sanitari, appare oggi ancora in salita», chiosa De Palma.