(ASI) Ci siamo, oggi 25 settembre 2022 tutta l'Italia è chiamata a votare. Si vota per eleggere il nuovo governo, che si insedierà al posto dell'esecutivo guidato da Mario Draghi.
Le operazioni di voto si svolgeranno dalle 7.00 alle 23.00, mentre lo scrutinio delle schede inizierà lunedì 26 settembre a partire dalle 14.00.
Il sistema elettorale, ricordiamolo, prevede un solo turno con metodo misto, senza ballottaggio. Con il voto sono tornate anche numerose analisi della tradizionale dicotomia, invalsa da più di due secoli e contestata da taluni, della diade destra/sinistra, considerata ormai, in società sempre più complesse e fluide, anacronistica. Nata in politica come metafora spaziale in occasione della riunione degli Stati generali e poi dell’Assemblea nazionale durante la rivoluzione francese del 1789, ed ancor prima in Inghilterra nel 1672 per indicare la distribuzione dei membri della Camera dei comuni a destra o a sinistra del Re, si è progressivamente consolidata nel suo significato politico identitario.
È chiaro poi che la cristallizzazione del contenuto identitario di ciascuna delle due categorie politiche debba essere inserito nel fluire storico, ma per decenni si palesava il persistere di alcuni tratti distintivi atti a giustificare la dicotomia. Numerosi sono gli studiosi e i politologi che si sono cimentati sul tema, basti pensare a Bobbio e alla sua oramai celebre “destra e sinistra. ragioni e significati di una distinzione politica”, dove analizza magistralmente la dicotomia “eguaglianza/diseguaglianza e libertà/ autorità”. Bobbio ci ricorda le variabili alla cui luce è possibile individuare il carattere più o meno egualitario della dottrina politica. Durante il periodo nel quale scrive, era fermamente convinto che esisteva ancora una diade, considerando il fatto che liberalismo e socialismo sono “ ideali che non possono essere attuati fino alle estreme conseguenze senza che l’uso di uno limiti quello dell’altro”.
Ecco per Bobbio quindi la necessità di un compromesso fra i due ideali per evitare che si scivoli verso uno stato totalitario o anarchico. Chissà se era proprio questa la base sulla quale Dario Antiseri, in Destra e sinistra due parole ormai inutili, ha poggiato la sua analisi, considerando il grande principio sul quale crede sia possibile una buona qualità della democrazia, ovvero la competizione. Altri studiosi invece ne hanno sottolineato l’affievolirsi della dicotomia, come F. Fukuyama con “La fine della storia e l’ultimo uomo”, celebre lavoro nel quale dichiara chiusa una fase storica secolare, dinanzi alla progressiva affermazione dell’ideologia liberale. Il liberalismo, nella sua assenza di contraddizioni blocca il meccanismo dialettico hegeliano e determina l’impossibilità di un suo superamento.
Questa fine della storia risultava per lo studioso americano, in un certo senso, anche la fine della sinistra e della destra. La prima infatti si spendeva per raggiungere l’obiettivo del riconoscimento universale, mentre la seconda auspicava la possibilità di far emergere le disuguaglianze, di permettere la “megalotimia”, cioè il desiderio di esser riconosciuto superiore agli altri. Potremmo andare avanti per ore considerando i contributi di studiosi del calibro di G. Sartori, M. Ravelli, C. Preve, A. Panebianco, S. Benvenuto. A. Santambrogio e, vista la vastità del tema di cui non ho pretesa di completezza ed esaustività, direi di fermarmi, perché sicuramente rischierei di dimenticarne centinaia.
Tornando alla domanda del titolo, emerge con chiarezza una furiosa battaglia culturale su ciò che resta della destra e della sinistra, rendendo quindi il tema più attuale che mai attuale. L’identità dei due termini, di questa fondamentale dicotomia politica, rimane qualcosa di sfuggente che non si riesce mai ad afferrare completamente. A tratti risulta evidente che nello scenario multiforme, non lineare, disordinato del mondo globalizzato non ci siano più confini certi e chiaramente delineabili nemmeno per quel che riguarda la destra e la sinistra. E ciò spesso ci fa concludere che forse la destra e la sinistra hanno ormai fatto il loro corso e non siano più in grado di descrivere efficacemente lo spazio politico attuale. Ma, citando lo storico e politologo Marco Revelli ne “La politica senza politica”, l’analisi cruda del degrado politico, sfociato nel populismo a seguito della progressiva erosione della democrazia e di una tremenda involuzione dei partiti, ci fa capire che il tema è sempre attuale.
L’egemonia neo-liberista, la nuova lotta di classe, l’apparizione sulla scena politica di impudenti “millantatori” ( lo storico cita Trump che sembrava Lenin ma era pur sempre un miliardario), le contraddizioni della destra e l’attuale distanza antropologica tra gli esponenti della “sinistra” ed il popolo (che essa dovrebbe rappresentare), hanno innescato il voto di protesta e premiato i populisti, decretando la morte della politica. Il suo è stato un evidente, pur nella critica severa e nella sofferta constatazione dell’attuale “vuoto” della politica, richiamo alla storica distinzione “destra/sinistra”, che quindi è più viva che mai.
Ecco perché è fondamentale votare, benché nauseati da una politica che stenta a rappresentarci, siamo chiamati a svolgere il nostro dovere: dare sfogo alle nostre idee per legittimare i nostri diritti. Buon voto a tutti, sia a destra che a sinistra.
Emilio Cassese - Agenzia Stampa Italia