(ASI) Tra i tanti protagonisti di questa lunghissima ed estenuante lotta al Sars-CoV-2, mancava solo la chiamata in campo dei giudici amministrativi. Dico subito, al fine di evitare polemiche demenziali, che, essendo del tutto profano della materia,non sono né a favore né contro quello che ci dicono (o ci impongono) di fare in questa pandemia e, dunque,pur con tantissime incertezze, sono regolarmente vaccinato e congreen pass, però i dubbi (compresi i miei) che hanno molti, nascono, e sono alimentati, da queste intollerabili, irrazionali, incredibili battaglie.
Come l’assurdo conflittosorto tra il ministero della Sanità e il Comitato cura domiciliare Covid-19. Già il solo fatto che siastato necessario costituire un Comitato cura domiciliare (se ho ben capito si tratta dei medici di base o di famiglia) e che questo sia addirittura in conflitto con il ministero della Salute, cioè inlotta sono due esercitiche combattono (o dovrebbero combattere)lo stesso nemico, e cioè il virus, mi sembra veramentequalcosa di inconcepibile. Il ministero della Salute, in una circolare, aggiornata al 26 aprile 2021, indica i comportamenti da tenere ai medici di famiglia verso i pazienti, come quello di “vigilante attesa” nei primi giorni di insorgenza dell’infezione da Covid-19 e la somministrazione di farmaci “a base di paracetamolo”. I medici di famiglia, e non solo, sostengono, da sempre,esattamente il contrario, e cioè che bisogna intervenire subito, o comunque prima possibile, con antinfiammatori o con altre terapie ritenute idonee ed efficaci al contrasto con la malattia Covid-19, al fine di evitare l’aggravamento del quadro clinico. Così, in questi due anni, hanno fatto,con le cure domiciliari, migliaia di medici di famiglia,con risultati soddisfacenti, e così sostengono bisogna fare. Fortemente convinti, confortati dai risultati, i medici non potevano accettare i vincoli ministeriali imposti alla loro professione. E sono stati costretti a rivolgersi al Tar, che ha dato, giustamente, loro ragione, annullando la circolare ministeriale. Ciò perché - sostengono i giudici amministrativi - “la validità giuridica di tali prescrizioni è onere imprescindibile di ogni sanitario di agire secondo scienza e coscienza, assumendosi la responsabilità circa l’esito della terapia prescritta quale conseguenza della professionalità e del titolo specialistico acquisito”. In un Paese normale, la querelle che, peraltro, dura, come si è visto, da molti mesi, non sarebbe nemmeno sorta, perché, coinvolgendo la vita di milioni di persone,nel supremo interesse generale,si sarebbe risoltapiù rapidamente possibile, cercandorisposte certe nella ricerca e nello studio. E nell’esperienza maturata sul campo. E, invece, no, è stato necessario chiamare in causa il giudice amministrativo. Si rimane esterrefatti e senza parole.
Fortunato Vinci – www.lidealiberale.com – Agenzia Stampa Italia