(ASI) In India, il sogno di un viaggio sulle ali di paesaggi fiabeschi può trasformarsi in un incubo. Questo ci insegna l’assurda vicenda di tre nostri connazionali, Tomaso Bruno, Elisabetta Boncompagni e Francesco Montis. I tre giovani nel febbraio 2010 decidono di visitare l’Uttar Pradesh, antica regione dell’India. Una mattina, però, la loro armonia si interrompe bruscamente: Tomaso ed Elisabetta trovano l’amico Francesco in agonia sul proprio letto d’albergo.
Chiamano rapidamente i soccorsi, che tuttavia si rivelano vani, poiché il loro amico muore poche ore dopo in ospedale. Da quel momento inizia per loro un’esperienza grottesca e inaspettata, a tratti infernale, ai quali vengono sottoposti da una giustizia indiana che - potremmo forse ritenere - considera i turisti stranieri come dei “paria”, la miserabile categoria di persone poste ai margini della rigida suddivisione per caste della società indiana e dunque private di alcuni elementari diritti. Marina Maurizio, mamma di Tomaso Bruno, promotrice di una serie di iniziative tese a far conoscere la vicenda dei due ragazzi, ha accettato di rispondere ad alcune domande di Agenzia Stampa Italia.
Sig.ra Bruno, subito dopo il decesso di Francesco Montis, la polizia indiana effettua un’autopsia sul suo corpo. Gli inquirenti - almeno da quanto si apprende - rilevano lividi; segni che affermano esser originati da una colluttazione, motivo per cui Tomaso Bruno, suo figlio, ed Elisabetta Boncompagni vengono arrestati e accusati di omicidio. Su quale movente si basa l’impianto accusatorio delle autorità indiane per incriminare i due amici di un simile gesto?
In fase istruttoria si era ipotizzato da parte della Polizia Locale un “triangolo amoroso”, cioè Elisabetta che era la ragazza di Francesco, durante il viaggio si sarebbe innamorata di Tomaso ed insieme avrebbero pensato all’omicidio. Tesi sostenuta anche dal PM in aula durante il processo, ma di cui nella sentenza non fa cenno alcuno. E comunque nel primo esame effettuato sul corpo di Francesco dalla Polizia e dal medico dell’Ospedale che ne ha constatato il decesso, non sono stati rilevati né lividi, né ferite sul corpo di Francesco.
D’altronde la mamma di Francesco ha inviato alle autorità indiane una lettera i cui contenuti sembrerebbero scagionare Tomaso ed Elisabetta. Cosa c’era scritto? E’ servita d’aiuto o le autorità indiane l’hanno accolta con indifferenza?
La mamma di Francesco ha inviato una lettera al Distretto di Polizia di Varanasi (città nella quale a tutt’oggi i due amici si trovano detenuti NdR), non sappiamo se questa lettera sia mai giunta a destinazione, ma comunque non è stata presa in considerazione.
Alla luce dell’esperienza detentiva di suo figlio e di Elisabetta, ritiene che nell’ordinamento giuridico indiano vengano garantiti i diritti dei detenuti? Tomaso come sta vivendo questa esperienza?
Tomaso è trattato bene, anche se nel District Jail di Varanasi il cibo è solo vegetariano e nonostante le ripetute richieste della nostra Ambasciata di fornire a lui ed Elisabetta acqua minerale, viene somministrata l’acqua del pozzo. Inoltre è uno dei pochi carceri dove non è permesso ai detenuti di tenere Ipod o Ipad, non può effettuare telefonate, anche se questo è sancito da un accordo internazionale sottoscritto anche dall’India. Comunque Tomaso, nonostante la morte di un suo amico e questa assurda sentenza, vive con serenità ed in pace con tutti gli altri detenuti in attesa che giustizia sia fatta.
Lo scorso luglio il tribunale indiano ha accolto le tesi dell’accusa, emettendo una condanna all’ergastolo per i due amici. Con quali motivazioni?
Il Giudice ha praticamente risolto il caso in poche righe, non tenendo conto di mesi e mesi di dibattimento in aula, di tutte le contraddizioni in cui sono caduti tutti i testimoni, compresi i due medici che hanno effettuato le due autopsie. Ha sentenziato che: nella camera dell’Hotel Buddha erano presenti solo Tomaso ed Elisabetta, che Francesco Montis è morto strangolato, come scritto nei due rapporti post-mortem, e che quindi non c’era altra sentenza se non quella della colpevolezza. In pratica il processo non è servito a nulla, tutto il lavoro della difesa non è stato tenuto in considerazione. Credo siano stati violati i più elementari diritti alla giustizia.
Un ricordo in appello è ora stato presentato ed accolto dall’Alta Corte di Allahabad e siamo in attesa di conoscere il calendario delle udienze. Il 12 ottobre verrà esaminata la richiesta di libertà su cauzione, che già sappiamo verrà respinta in quanto ai cittadini stranieri non viene mai concessa, ma questo ci permetterà di ricorrere alla Suprema Corte dell’India ed ottenere, proprio in virtù del fatto di essere stranieri, lo svolgimento del processo di Appello in tempi brevi (la lista di attesa dell’Alta Corte di Allahabad è di due anni!).
Attendete fiduciosi il pronunciamento della corte d’appello?
Sì, attendiamo fiduciosi e certi di un verdetto di assoluzione anche in base a tutte le prove e la documentazione giuridica e medico-legale presentate ed argomentate dalla difesa durante il dibattimento presso il Trial Court di Varanasi, ed ora allegate agli atti.
Voi parenti dei due giovani detenuti, avendo seguito da vicino e approfonditamente questa vicenda, che idea ve ne siete fatti? Perché le autorità indiane, a vostro avviso, si sono dimostrate finora così inflessibili?
Non si tratta né di inflessibilità né di rigore. Molto probabilmente si è trattato di giochi di potere all’interno della Magistratura.
E le autorità italiane, invece? Che riscontri avete avuto dal Ministero degli Esteri?
L’Ambasciata Italiana a New Delhi ha assistito noi per le pratiche per l’ottenimento dei visti, per i rapporti con lo studio legale e dandoci anche un forte aiuto tenendo un continuo contatto con Tomaso ed Elisabetta, con assidue visite consolari per accertarsi del loro stato di salute sia fisico che mentale.
Quali iniziative state svolgendo in Italia per promuovere presso l’opinione pubblica la causa d’innocenza di suo figlio Tomaso e di Elisabetta?
Abbiamo cercato di far uscire la notizia dai confini della nostra Regione, la Liguria, ma abbiamo incontrato grosse difficoltà. Gli amici di Tomaso hanno costituito un’associazione “Alziamo la voce” per organizzare concerti e manifestazioni a sostegno di Tomaso ed Elisabetta. Hanno promosso una raccolta firme, che si sta svolgendo ancora adesso, e hanno in programma una grossa manifestazione musicale a Torino prima di Natale. Siamo in contatto con le “Iene” che pensiamo trasmetteranno un pezzo nelle prossime settimane. Siamo stati anche contattati dalla “Vita in diretta”. A seguito del clamore suscitato dalla sentenza di Perugia, abbiamo inviato email per far conoscere la nostra storia alle principali redazioni dei quotidiani nazionali (La Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano ed altri). Inoltre, alla luce delle parole di Bruno Vespa di voler fare una trasmissione per parlare dei detenuti italiani all’estero, abbiamo scritto una email a “Porta a Porta” evidenziando la vicenda giudiziaria di Tomaso ed Elisabetta.
Da parte nostra, mandiamo un forte abbraccio ideale a Tomaso ed Elisabetta, nella speranza di una maggiore considerazione da parte dei nostri media e, soprattutto, di un loro rapido ritorno a casa. Da innocenti incappati in una disavventura oltreconfine.