(ASI) Il successo personale di Matteo Salvini alle ultime elezioni europee non può oscurare il dato dell’affermazione della Lega dal nord al sud della Penisola, della conquista di storiche roccaforti rosse come l’Umbria e dell’eloquente affermazione a Lampedusa, Riace e finanche, ironia della sorte, a Capalbio.
Un’affermazione elettorale larghissima, sintomo di un malessere diffuso nel Paese ma che però ben difficilmente riuscirà ad intaccare gli equilibri dominanti in Europa, visto che la nuova maggioranza parlamentare che si prospetta in seno al Parlamento di Strasburgo resterà comunque filo-UE ma che nondimeno risulta estremamente significativa in quanto segnata da una violenta campagna denigratoria ingaggiata dal sistema mediatico contro le “destre” presentate unilateralmente come la parte più rozza ignorante e gretta della nazione. Questa operazione di ossessiva e metodica mistificazione e “reductio ad hitlerum” dell’avversario, tipica della sinistra, non ha portato però, almeno in questa occasione, i benefici auspicati dai suoi artefici e ha nuociuto anche alla credibilità di un’istituzione che da tempo sembra aver rinunciato perfino alle parvenze di una ‘cattolica’, morigerata imparzialità super partes: la chiesa gesuita di Bergoglio. Regolati i conti interni con lo sleale alleato di governo, ora costretto ad una difficile gestione delle conseguenze dei propri limiti ideologici e politici, la Lega ha ora davanti a sé il compito più gravoso che consiste nel fare valere gli interessi dell’Italia soprattutto di fronte a quegli organismi come la Commissione europea e il Consiglio d’Europa che finora hanno manifestato aperta ostilità verso l’azione di questo governo e verso ogni richiesta anche minima di sovranità politica. L’Italia ha conferito a Salvini, sulla base della promessa Prima gli Italiani, un mandato di contrasto delle politiche neoliberiste di austerità e di immigrazionismo selvaggio promosse con teutonica determinazione dalle burocrazie di Bruxelles, politiche accusate da più parti di esprimere, in modo tutt’altro che ‘democratico’, gli interessi di gruppi di potere all’interno dei Paesi più forti dell’Unione. In questo senso, il voto italiano, insieme a quello francese ed inglese, seppur lontano dall’avere attinto la maggioranza parlamentare, è un voto che difficilmente potrà essere sottovalutato nelle sedi opportune, un voto dalla forte carica simbolica che dice di un sentimento diffuso di fastidio nei confronti di una oligarchia finanziaria che in pochi anni ha impoverito, tanto dal lato economico quanto da quello culturale e spirituale, i popoli europei, mai così divisi e logorati come negli ultimi decenni. L’UE, come hanno mostrato studiosi autorevoli come Paolo Becchi e Nino Galloni, è stata fin dall’inizio pensata e costruita come uno spazio egemonico franco-tedesco a spese dell’Europa del Sud, in particolare dell’Italia, una struttura senz’anima costruita su codici e trattati imposti ai popoli e difficilissimi da modificare, viziata da vecchi egoismi ed inquietanti utopie che il giornalismo di sistema ha poi sublimato nella retorica della pace perpetua e nei pruriti degli studenti Erasmus. L’UE, secondo l’opinione di parecchi osservatori, denuncia sempre più i tratti di un laboratorio sociale orwelliano, di un lager mercatistico, di un progetto di ingegneria sociale che punterebbe in realtà alla distruzione di ciò che resta dei popoli europei e alla loro sostituzione con una umanità ibrida di schiavi nomadizzati, consumatori compulsivi indebitati con le banche, privati della propria storia e delle proprie tradizioni, finanche della famiglia e del lavoro. Con questo voto gli italiani si sono pronunciati contro questo destino di morte. L’Italia, a differenza di altre nazioni era e rimane una nazione fondamentalmente culturale, per quanto lo si dimentichi troppo spesso: per questo forse l’inconscio collettivo degli Italiani è tra i più sensibili nell’avvertire tutto il negativo che si addensa dietro l’asettico e asfittico dominio tecnocratico europeo. Stà a Salvini raccogliere la sfida riposta in questo mandato, verificare se è possibile cambiare quest’Europa dall’interno e trarne tutte le dovute conseguenze.
Mario Cecere per Agenzia Stampa Italia