(ASI) Finora ci siamo sentiti dire che il cervello umano ha potenzialità immense, inesplorate, che l’umanità futura saprà attivare rendendo l’uomo capace di funzioni attualmente impensabili.
Adesso, però, il mondo scientifico è in subbuglio perché il neurobiologo Simon Laughlin, della prestigiosa Università inglese di Cambridge, in un’intervista al Sunday Times, ha spiegato che, dopo milioni di anni di crescita, la nostra intelligenza non potrà ulteriormente evolversi. Laughin, in pratica, non nega che il nostro cervello avrebbe ulteriori margini di evoluzione, ma sostiene che due ordini di fattori rendono praticamente impossibile il loro sviluppo.
Primo limite è l’eccessivo consumo di energia che il nostro cervello richiede all’organismo umano. Infatti, pur rappresentando, in termini di peso, solo il 2% del nostro corpo, il cervello consuma ben il 20% delle nostre energie. L’intelligenza, insomma, ci costa molto in termini di bilancio energetico: le cellule della corteccia cerebrale (che presiedono alle funzioni di ragionamento, di deduzione e di connessione-elaborazione degli stimoli) assorbono moltissima energia e, pertanto, sembra logico pensare che c’è un limite ormai raggiunto, o prossimo, alle informazioni che possiamo elaborare.
In secondo luogo, per Laughlin, l’evoluzione dell’intelligenza umana sembra doversi interrompere a causa delle dimensioni delle cellule cerebrali e delle loro connessioni. Nella storia del cervello umano, queste cellule sono andate progressivamente “miniaturizzandosi” e le connessioni tra esse si sono moltiplicate, segnando, per questa duplice via, l’evoluzione dell’intelligenza umana.
Ora, non ci sarebbe più spazio né per aumentare il numero delle cellule, perché queste non potrebbero ulteriormente diminuire di dimensioni. E, analogamente, non ci sarebbe ulteriore possibilità di espansione di numero neanche per i collegamento tra i neuroni, sia quelli a media distanza (denominati assoni) sia quelli a cortissima distanza (sinapsi) che, secondo molti studi, quanto più sono efficaci, tanto più determinano il quoziente intellettivo degli individui. L’intelligenza infatti, dipende dal numero di connessioni tra le cellule celebrali e dalla velocità con cui i messaggi viaggiano tra esse.
Insomma, per Laughlin, che sull’argomento ha scritto il libro “Work meet life” la mente umana avrebbe saturato le sue possibilità di crescita e la nostra specie, dopo milioni di anni, per ragioni di ordine fisico, non avrebbe più prospettive di ulteriore evoluzione nel lungo periodo.
Certo, la scienza e l’evoluzione non si arrenderanno di fronte alle tesi di Laughlin, quando anche dovessero dimostrarsi fondate e scientificamente sensate. Anche se il numero delle cellule e delle loro interconnessioni non potrà aumentare, nulla vieta che la loro funzionalità potrebbe diventare più efficiente, migliorando la connettività tra i moduli del cervello che presiedono alle diverse funzioni e magari ridistribuendo le funzioni tra esse in maniera più efficace.
Tuttavia, per converso, i neurobiologi di Cambridge paventano anche la possibilità che in futuro, la razza umana, dal punto di vista dell'intelligenza, non solo potrebbe arrestarsi, ma addirittura potrebbe retrocedere. Per esempio, se dovessero verificarsi radicali cambiamenti del contesto ambientale che riducessero le risorse alimentari, il cervello potrebbe subire una regressione perché l'essere umano potrebbe decidere di destinare l’energia ad altre funzioni più basilari, sviluppando, anziché la funzionalità cerebrale, altri parametri vitali.
Il dibattito sul futuro dell’intelligenza umana è appena iniziato. Si spera che, data la labilità delle tesi e gli scenari misurati non in secoli e millenni, ma col metro dell’evoluzione della specie, il confronto non diventi terreno di scontro ideologico tra scuole di pensiero e sia condotto con misura e (è il caso di dire) intelligenza.