(ASI) Per analizzare serenamente la sentenza relativa al lodo Mondadori, occorre fare una doverosa premessa e specificare che si tratta dell’esito di un processo civile. Qui non ci sono imputati o colpevoli, ma ci sono attori e convenuti. Soccombenti e vittoriosi in un procedimento dove nessuno ha responsabilità penali.
Pertanto, l’oggetto della sentenza non è la condanna alla galera di chi è riconosciuto reo, bensì il risarcimento del danno a favore di colui le cui domande sono state accolte.
LA VICENDA E INTERPRETAZIONI DELLA SENTENZA
Nell'arco che va dagli anni ’80 e ’90, la Mondadori, la più grande casa editrice italiana, è contesa tra due imprenditori: Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti. In un primo momento, pareva dovesse spuntarla De Benedetti, ma alla fine venne sancito un lodo arbitrale che attribuì alla Fininvest di Silvio Berlusconi la Mondadori. La CIR tuttavia non ci stette e appellò contro il lodo. Siamo nel 1991. La sentenza diede ancora ragione a Berlusconi, e la Fininvest divenne piena proprietaria di Mondadori, a eccezione di alcune testate, tra cui Repubblica, Espresso e altre minori che divennero di proprietà di De Benedetti (cosa che sono tutt’ora). Però accadde un fatto: tramite le rivelazioni di Stefania Ariosto e tutta una serie di indagini, si scoprì che uno dei giudici che componevano il collegio giudicante che aveva deciso sul Lodo era amico di Cesare Previti, allora avvocato della Fininvest, con il quale intratteneva una serie di rapporti. Venne così provato in un processo penale, dove fu imputato anche Silvio Berlusconi, che Previti corruppe Metta (il giudice) per ottenere una sentenza favorevole alla Fininvest. Cesare Previti venne condannato, ma la posizione di Berlusconi venne archiviata perché non venne dimostrato che era stato coinvolto nella vicenda. La Procura di Milano tuttavia non si diede per vinta e appellò. Il giudice dell’appello, nel 2001, ipotizzò (si badi bene: non dico “condannò”) per Silvio Berlusconi il reato di corruzione semplice ma non lo condannò perché tale fattispecie era prescritta (passarono infatti dieci anni dal fatto contestato).
Nel mentre, la CIR citò in giudizio, davanti al giudice civile, la Fininvest per il risarcimento del danno all’esito della sentenza che condannò Previti. E la sentenza di quella causa civile è quella che oggi mi accingo a esaminare brevemente per capire le motivazioni che hanno portato il giudice civile a condannare la Fininvest al pagamento di 750 milioni di euro a favore di CIR.
Prima di proseguire è da fare un’ulteriore considerazione: nei processi penali si giudica la responsabilità personale degli individui. Nel caso in questione, è stata giudicata la posizione di Cesare Previti e di altri imputati, tra cui Silvio Berlusconi. Cesare Previti è stato condannato, mentre Silvio Berlusconi no. Da un punto di vista penalistico, solo la responsabilità penale di Previti è stata pertanto accertata, mentre quella di Silvio Berlusconi è stata stralciata, perché il GUP di allora rilevò un suo non coinvolgimento penale, archiviando pertanto il caso, al quale seguì – ricordo ancora una volta – l’appello della Procura, il cui esito finì in un buco nell’acqua per l’intervenuta prescrizione del reato di corruzione semplice.
Se questo è vero, appare davvero difficile immaginare una sentenza civile che invece dichiara la responsabilità di Silvio Berlusconi e per lui la Fininvest. Il Premier da quel fatto ne uscì pulito in forza di due provvedimenti: un’archiviazione e una prescrizione. Chi davvero rimase coinvolto nella vicenda furono solo Cesare Previti e il giudice Metta (oltre gli altri due imputati), per i quali comunque, nonostante la sentenza, ci sono ancora molti dubbi in ordine alle accuse per i quali vennero giudicati colpevoli. Ma per quanto mi riguarda, non voglio certo contestare nei fatti una sentenza comunque passata in giudicato, e dunque diamo per buono che Previti e Metta abbiano davvero complottato per avvantaggiare la Fininvest nella controversia su Mondadori.
Dal che ne consegue che coloro i quali oggi avrebbe dovuto essere condannati anche civilmente per quei fatti, sono sempre Cesare Previti, il giudice Vittorio Metta e gli altri responsabili della corruzione. Ma va da sé che loro tutti quei soldi non li hanno, per cui si è pensato bene di agire contro la Fininvest, in qualità di soggetto avvantaggiato dalla sentenza, con il risultati che tutti sappiamo.
Ma cosa dice il giudice nella sua sentenza? Afferma chiaramente che Silvio Berlusconi “è corresponsabile della vicenda corruttiva” perché “i conti All Iberian e Ferrido erano conti correnti accesi su banche svizzere e di cui era beneficiaria economica la Fininvest. Non è quindi assolutamente pensabile che un bonifico dell’importo di Usd 2.732.868 (circa tre miliardi di lire) potesse essere deciso ed effettuato senza che il legale rappresentante, che era poi anche amministratore della Fininvest, lo sapesse e lo accettasse.”
Da prendere in esame la frase: “non è quindi assolutamente pensabile“. Ciò significa che il giudice non ha prove certe di quello che afferma, ma va per ragionamenti, per argomentazioni… per presunzioni, e cioè tramite un procedimento logico che partendo dagli indizi, desume i fatti da provare. E si tratta peraltro – badate – di presunzioni semplici, cioè suscettibili di prova avversa e, come tali, lasciate al libero e prudente apprezzamento del giudice (art. 116 c.p.c.), il quale in questi termini, nel dubbio, deve solo decidere se sposare una tesi oppure l’altra, perché principio giuridico vuole che il giudice deve emettere una sentenza; non può sottrarsi all’incombente per insufficienza di prove, visto pure che non ha gli stessi vincoli probatori del giudice penale il quale invece deve condannare l’imputato solo quando la sua responsabilità penale viene provata ogni oltre ragionevole dubbio (art. 533 c.p.p.). E del resto, lo stesso giudice della causa ha riconosciuto proprio questo passaggio nella propria motivazione. Egli è ben consapevole del fatto che lui ha potuto dichiarare “responsabile” Silvio Berlusconi proprio perché non ha le stesse rigidità probatorie del giudice penale. Infatti afferma: “… il presente è un giudizio civile che ha ovviamente uno statuto probatorio meno garantistico di un giudizio penale: se in un giudizio penale i fatti che costituiscono il fondamento del giudizio di responsabilità devono essere provati adilà di ogni ragionevole dubbio, la regola che stabilisce la soglia probatoria necessaria per il giudizio di responsabilità civile è quella del ‘più probabile che non’. Sulla base della soglia probatoria operante nel diritto civile, può dirsi che è assai probabile che Metta abbia concretamente condizionato il collegio nel senso di orientare la discussione nel senso da lui ritenuto più utile“.
In verità, è un passaggio davvero contestabile. Non è vero che il giudizio civile è un giudizio che si basa sul “più probabile che non”. Anche nel giudizio civile ci vogliono delle prove certe, e del resto il nostro codice disciplina in modo dettagliato queste prove. E’ libera piuttosto la valutazione delle stesse ai sensi del citato art. 116 c.p.c., salvo i casi in cui la legge attribuisca a determinati fatti il valore di prova legale (prova che non può essere liberamente apprezzata e valutata). Dal che si desume l’ovvia considerazione che il giudice civile, nel caso in questione, ha semplicemente sposato una tesi, quella dell’attore (De Benedetti), riconoscendo a quest’ultimo “una perdita di chance” nell’affare Mondadori. Non a caso, il giudice ritiene che non è dimostrabile che la mancata corruzione del giudice Metta avrebbe avvantaggiato CIR, mentre – secondo lui – è dimostrabile il fatto che la corruzione di un solo giudice su tre, avrebbe (come ha) avvantaggiato Finivest. Perché? Ma perché Metta era il giudice relatore del processo, e perché “… appartiene al notorio presso gli operatori del diritto che nelle cause civili collegiali il giudice relatore, che conosce bene gli atti ed ha studiato e approfondito i problemi di fatto e giuridici, è in una posizione tale da poter quasi sempre influenzare il resto del collegio“.
Anche in questo caso il giudice che condanna la Fininvest non offre elementi di prova, ma va per presunzioni. Ha dedotto che il giudice Metta – nonostante non ci siano delle prove evidenti a suo carico (salvo la sentenza penale, che però dimostrerebbe solo che ha preso soldi da Previti) – avesse all’epoca influenzato gli altri due giudici, in quanto meglio conoscitore delle carte processuali. Perciò suggerisce “che è assai probabile che Metta abbia concretamente condizionato il collegio nel senso di orientare la discussione nel senso da lui ritenuto più utile“.
Da sottolineare ancora l’uso del condizionale e della locuzione “assai probabile”. Ancora una volta il ragionamento alla base della sentenza è puramente presuntivo e argomentativo. Non si parla di prove provate, di fatti certi, di riscontri oggettivi che – a mio parere – dovrebbero essere forti dinanzi a una causa di questo valore (750 milioni di euro) e alla complessità della vicenda, il cui esito non si limita a un mero trasferimento di denaro da una tasca all’altra, ma che decide anche le sorti di una grossa azienda italiana e influenza direttamente e indirettamente le sorti politiche ed economiche dell’intero paese. Dinanzi a tanta complessità e delicatezza, e nel momento attuale, il giudice prudentemente – pure alla luce della scarsità probatoria – avrebbe dovuto evitare una simile condanna e lasciare che la questione venisse affrontata da un collegio giudicante e infine in cassazione (cosa che comunque avverrà sicuramente).
Ma sappiamo tutti che il giudice ha deciso diversamente (con gioia di molti).
La corruzione di Metta, e il fatto stesso che Metta fosse il relatore della causa, e dunque capace in tale posizione di influenzare gli altri due giudici, ha fatto sì che CIR perdesse una grossa chance di acquistare Mondadori, perché come ho già rilevato, se per il giudice la mancata corruzione non prova che CIR avrebbe certamente acquistato Mondadori (ottenendo una sentenza favorevole), la corruzione prova (per presunzioni) che Fininvest (Berlusconi) è stato indubbiamente avvantaggiato, tanto da spuntarla. Dal che consegue che se non è possibile, per il giudice, riconoscere l’integrale risarcimento del danno, pari a circa un miliaro di euro (973 milioni), a seguito della perdita della casa editrice (per via del fatto – ripeto – che non è dimostrabile che la mancata corruzione avrebbe permesso a CIR di ottenerre una sentenza che la favorisse), è comunque congruo riconoscergli un importo pari all’80% del complessivo, e cioè 750 milioni di euro.
Una nota curiosa: ho illustrato come il giudice abbia condannato Fininvest, usando le presunzioni e i ragionamenti logici, anziché le prove certe. Epperò esclude l’ipotesi di una sentenza d’appello a completo favore di CIR sulla base di un dato certo: l’impossibilità di sapere se CIR avrebbe ottenuto quella sentenza se il giudice non fosse stato corrotto. E allora mi domando: se non è possibile sapere, in mancanza di corruzione, se CIR avrebbe ottenuto una sentenza favorevole, come è possibile sapere con certezza che la corruzione di un solo giudice abbia potuto influenzare un collegio giudicante composto da altre due persone che per legge devono poter esprimere il loro parere liberamente, conoscendo perfettamente le carte processuali, senza per questo pendere e dipendere dal relatore, la cui unica funzione è fare il punto della causa con una sintesi? E’ una domanda legittima. No? Anche perché gli altri due giudici asserirono poi effettivamente nel processo penale che, indipendentemente dall’opinione di Metta, loro avrebbero comunque votato a favore di Fininvest.
Nota, forse, per queste motivazioni e argomentazioni che l'avvocato della difesa di Silvio Berlusconi Nicolò Ghedini, nonostante tutto, è fiducioso tanto da dichiarare le seguenti parole: "La Corte d'Appello di Milano ha emesso una sentenza contro ogni logica processuale e fattuale, addirittura ampiamente al di là delle stesse risultanze contabili che erano già di per sè erronee in eccesso, e addirittura superiore al valore reale della quota Mondadori posseduta da Fininvest". Secondo il quale ora la Cassazione "non potrà che annullare la sentenza. Infatti la sentenza "è la riprova, se ve ne fosse stato bisogno, che a Milano è impossibile, quando vi è anche indirettamente coinvolto il presidente Berlusconi, celebrare un processo che veda l'applicazione delle regole del diritto. E se la Corte d'Appello non sospenderà l'esecutività della sentenza - prosegue l'avvocato del premier - tale prova sarà ancora più evidente. Comunque la Corte di Cassazione non potrà che annullare questa incredibile sentenza".
LE REAZIONI POLITICHE
BINDI (PD): è ora che l'Italia si liberi di Berlusconi
"E' una sentenza che come tutte le sentenze esecutive deve essere rispettata. Ho visto che faranno ricorso in Cassazione. Auguri, intanto dovranno comportarsi come tutti i normali cittadini. E da questa sentenza abbiamo capito chiaramente che quella norma messa in Finanziaria non era per tutti gli italiani, ma era per un italiano, guarda caso sempre lo stesso". Così ha commentato la sentenza la presidente del Pd Rosy Bindi, che ha aggiunto: "E' l'ora che l'Italia sia liberata da questa maggioranza, da questo presidente del Consiglio, da questo governo".
LA RUSSA (PDL) : La sentenza Mondadori è una ritorsione contro Berlusconi
"Era una sentenza attesa, nessuno si faceva molte illusioni che le buone ragioni che Berlusconi ci ha illustrato piu’ volte venissero riconosciute". Ignazio La Russa, ministro della Difesa e coordinatore del Pdl, ha commentato cosi’ la sentenza d’Appello sul lodo Mondadori, a margine della Festa di Mirabello. "E’ una sentenza dal sapore politico e di ritorsione nei confronti di Berlusconi una sentenza annunciata, frutto di pregiudizio politico che interviene decenni dopo un accordo che aveva chiuso la questione". La Russa si e’ detto convinto che "la Cassazione cancellera’ questa decisione politica che suscita indignazione". Quanto alla possibilita’ che venga ripresentata la cosiddetta norma ’salva Fininvest’, La Russa, rispondendo ai giornalisti, spiega che "dipendera’ dai presidenti dei gruppi parlamentari e dai singoli deputati. Personalmente penso che sia una norma di civilta’, se estesa a tutti e non solo ad alcuni. Troviamo dei modi: un modo puo’ essere che ti do solo una piccola parte o che tu presti una garanzia cosi’ sono sicuro che, se poi il giudice mi da’ ragione, potro’ rientrare in possesso dei miei soldi. Credo che sia il giusto equilibrio tra il diritto di un creditore ad avere cio’ che gli spetta ma anche di chi ha versato dei soldi di riaverli indietro se i magistrati gli danno poi ragione".
Di Pietro (IDV) "le sentenze si rispettano e i danni si risarciscono. E se è vero, com'è vero, che Berlusconi è stato condannato in appello per danni causati a un altro gruppo imprenditoriale, significa che lui ci ha guadagnato illecitamente e l'altro ci ha rimesso. E' inutile che Berlusconi e i suoi tentino di buttarla in politica, qui siamo solo di fronte a comportamenti truffaldini gravissimi".
Bossi (LEGA): "Sentenza pesante, ma spero non politica. E' una sentenza pesante", quella sul Lodo Mondadori. Così ha risposto il leader della Lega Nord Umberto Bossi a margine di un comizio. A chi gli chiedeva se la consideri una sentenza politica nei confronti del premier Silvio Berlusconi, Bossi ha replicato secco: "Spero di no".
Lodo Mondadori, IdV: dal Pdl canea eversiva
"Ancora una volta ci troviamo di fronte alla canea eversiva di esponenti del Pdl che attaccano i giudici per tutelare indegnamente l'impunita' di Silvio Berlusconi. Per questo, siamo certi che il Csm interverra' a garanzia dell'indipendenza e dell'autonomia dell'ordine giudiziario. Questi attacchi sono gravi e inaccettabili e confermano la pericolosita' di un regime che è ormai in palese disfacimento". Lo afferma il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando.
"Di fronte alla sentenza Mondadori l’unica cosa che si puo’ dire e’ che a questo punto solo degli osservatori neutrali, rappresentanti di istituzioni internazionali, sarebbero in grado di verificare le modalita’ anomale e violente, piu’ simili a paesi totalitari che a democrazie civili, in cui si esercita l’amministrazione della giustizia in Italia". Lo ha sottolineato Sandro Bondi, coordinatore nazionale del Pdl, commentando la sentenza che obbliga Fininvest a risarcire Cir per il Lodo Mondadori.