(ASI) L’intervento nell’Aula del Senato di Pier Ferdinando Casini sull’Informativa del Presidente del Consiglio dei ministri, Paolo Gentiloni, sulla situazione in Siria

"Signor Presidente, cari colleghi, questo è il primo dibattito che svolgiamo in quest’Assemblea e lo facciamo sull’argomento principe, secondo me, della vita politica delle Nazioni, cioè sulla politica internazionale.
Parlo a nome del Gruppo Per le Autonomie. Noi siamo europeisti. Quando qualcuno si definisce europeista non può in alcun modo non pensare a come questa parola si debba declinare in modo congiunto a un altro concetto: l’atlantismo. Se non ci fosse stata la scelta atlantica del Dopoguerra, noi non avremmo realizzato l’Europa, con tutti i pregi e i difetti che essa ha.

Oggi siamo chiamati dal Governo uscente, in carica per il disbrigo degli affari correnti, come si suol dire, a ragionare su questo tema e sul comportamento che l’Esecutivo ha tenuto non partecipando alle azioni militari e dando un sostegno logistico condizionato. Noi, caro presidente Gentiloni Silveri, le diciamo che siamo pienamente convinti della sua azione. La nostra fiducia non è figlia di un riflesso condizionato del passato, non è una forma di nostalgia della passata legislatura. No, colleghi, la nostra approvazione è una precisa indicazione per il futuro, perché secondo noi non ci può essere un Governo credibile nel nostro Paese fuori dalla conferma prioritaria della scelta atlantica ed europea del nostro Paese. Una scelta che forse è stata divisiva negli anni dell’immediato Dopoguerra, ma che, già dal 1977 in poi, è diventata patrimonio politico comune tra le forze maggiormente rappresentative del nostro Paese, forse anche antagonistiche nel passato, ma che si ritrovarono su questa scelta. Per la sinistra di allora fu difficile compiere una scelta in controtendenza con le centrali del comunismo di quel tempo. Tuttavia, questa scelta fu proprio la caratteristica autonoma della strada italiana. Dunque, europeismo ed atlantismo.

Rapporto con la Russia: colleghi, vorrei essere esplicito sul rapporto con la Russia. Negli anni della guerra fredda, quando la cortina di ferro c’era e c’era davvero, la grande impresa italiana costruiva Togliattigrad. Negli anni della contrapposizione più dura tra Occidente e Oriente, l’Italia ha sempre tenuto aperta la fiammella del dialogo nei confronti dell’allora Unione Sovietica: ci mancherebbe altro che noi oggi non lo facessimo e non seguissimo la stessa strada. Per questo l’evocazione di Pratica di Mare, che tante volte fanno i colleghi di Forza Italia, è diventata un’evocazione comune, perché tutti noi siamo convinti che quella è la strada e quello è forse stato, da parte dei colleghi o delle esperienze di centro-destra, uno dei momenti migliori, proprio perché allora si associò la Russia ad un tentativo nuovo, volto a creare, tra la NATO e la Russia, un rapporto nuovo. Quella è la strada, ma nella chiarezza: come il Presidente del Consiglio dei ministri ha detto prima, non è che questa strada può confonderci. Non c’è un neutralismo o un neo-neutralismo dell’Italia. L’Italia la sua scelta atlantica l’ha fatta e, nell’ambito della scelta atlantica, convinta e senza reticenze, vuole tenere aperto un dialogo con la Russia.

Per quel che riguarda le sanzioni, sento i colleghi della Lega, per i quali naturalmente ho il massimo rispetto, che tante volte affermano di voler levare le sanzioni. Anche noi vorremmo levare le sanzioni: nei dibattiti al Senato della scorsa legislatura – lo ricorderà il presidente Calderoli – tanti di noi hanno detto che bisogna superare le sanzioni, ma guai a pensare di togliere unilateralmente le sanzioni, perché questo è il punto vero, altrimenti, dicendo che togliamo le sanzioni, diciamo tutto e non diciamo niente. Siamo disponibili a toglierle da soli rispetto ai nostri alleati europei? Io dico di no. Semmai dobbiamo negoziare con gli europei perché le sanzioni siano progressivamente superate e si ritrovi un dialogo con la Russia, che è quello che l’Italia, con i Governi di questa legislatura (Letta, Renzi e Gentiloni), con i Presidenti della Repubblica (qui nel nostro Gruppo abbiamo l’onore di avere il presidente emerito Napolitano), con tutte queste personalità, ha tenuto sempre aperto. Colleghi, questo però non significa che riteniamo uguali questi due grandi Paesi o che è indifferente da che parte si sta: questo proprio no, perché sennò viene meno anche la bussola di orientamento della nostra politica.

Vorrei dire una cosa sulla Siria, associandomi e firmando quello che ha detto prima la senatrice Bonino. Dunque, sulla Siria si è dimenticata la mediazione dell’ONU e di Staffan de Mistura, che peraltro è venuto a riferire anche alle nostre Commissioni. Si dirà che Staffan de Mistura e l’ONU sono in crisi e che il multilateralismo è in crisi. Colleghi, purtroppo è vero: il multilateralismo è in crisi e lo sappiamo anche noi. Anche noi che vogliamo il multilateralismo sappiamo che è in crisi, ma dal fatto che il multilateralismo è in crisi non traiamo la conseguenza che allora bisogna procedere con atti unilaterali di forza. Dobbiamo rafforzare controcorrente un multilateralismo che è in crisi e, per farlo, dobbiamo avere la capacità di mettere le fiche su questo tavolo, rilanciando l’azione dell’ONU perché proprio quello che è capitato in Siria in questi anni non consente a nessuno, realisticamente, di ipotizzare che tutto continui come prima e di pensare che tutto quello che è successo – migliaia di morti, gas nervini e bombe a grappolo – sia fiction oppure che sono cose dell’immaginazione: no, queste questioni sono nella carne dei bambini, sono tra la gente comune e sono talmente radicate, che rendono molto incerto il futuro della Siria, se non c’è una negoziazione tra tutti. Direi che siamo anche molto generosi nei confronti di Assad nell’assumere la posizione che stiamo assumendo, perché è il minimo che, per decoro, dovremmo fare.

Siria vuol dire Mediterraneo e nel Mediterraneo abbiamo delle questioni enormi, come la Libia e la vicenda Haftar rischia di essere un’ulteriore complicazione. Ci sono processi in corso, colleghi. Noi, ad esempio, sappiamo bene che non è stato Trump, ma che già dall’epoca di Obama gli Stati Uniti hanno in qualche modo allentato la loro presa sul Mediterraneo.

Molti erano contenti e molti tra quelli che erano contenti poi hanno avuto un rimpianto e hanno detto che forse bisognava richiamare gli americani nel Mediterraneo. Forse dovevano essere un po’ più cauti prima a far festa perché gli americani se ne andavano, visto che noi riteniamo che per l’assetto del Mediterraneo futuro anche in questo caso ci siano dei player che è inevitabile mettere al tavolo e tra questi c’è anche la Russia. Certo, perché per la teoria dei vuoti quando se ne sono andati gli uni è arrivato qualcun altro e ha occupato questi spazi.
Termino riallacciandomi all’auspicio finale del Presidente del Consiglio: dividiamoci su tante cose, ma non sulla politica estera o cerchiamo di tenere assieme un concorso nazionale, una responsabilità nazionale sulla politica internazionale ed europea, perché questo è un punto fondamentale per l’Italia e per il nostro futuro".

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