L’ultimo referendum interno in materia va ora in onda all’ex Bertone, uno dei tanti marchi messi nel proprio parco macchine dal Lingotto al fine di mettere in campo il più grande conflitto di interessi mai visto nella Penisola per quanto concerne il comparto industriale. Se prima però un piccolo tentativo di salvaguardare gli interessi dei lavoratori veniva portato avanti dalla Fiom, il movimento dei lavoratori più intransigente della Cgil, ora anche i sindacalisti ultra rossi sembrerebbero essersi piegati ai voleri dei padroni tanto che gli stessi delegati Fiom avrebbero indicato ai propri iscritti di votare sì a quanto proposto dalla Fiat.
Gli uomini di Landini però non vorrebbero certo passare l'idea di cedere proprio sui diritti dei lavoratori e quindi hanno trovato una formula per rendere meno amaro il loro comportamento; “Non ci faremo dividere - ha detto in assemblea il delegato Fiom Pino Viola - tra quelli che vogliono lavorare e quelli che vogliono difendere i diritti perché questa battaglia l’abbiamo iniziata tutti insieme e tutti insieme la vogliamo portare avanti. Non permetteremo a nessuno, tanto meno all’azienda, di scaricare su di noi la responsabilità di non fare l’investimento”.
Tra oggi e domani quindi i dipendenti della ex Bertone saranno chiamati a decidere il loro futuro , tenendo conto delle dolorose rinunce che saranno costretti a fare pur di conservare il proprio posto di lavoro, quanto meno fino alla prossima cassa integrazione.
La colpa però, bisogna essere onesti, non è degli Agnelli, degli Elkann, di Marchionne o della Fiom; le responsabilità maggiori sono di una classe politica che ha abbandonato i lavoratori al proprio destino e che da 60 anni permette alla Fiat di fare il buono ed il cattivo tempo nell’economia italiana.
E pensare che negli anni ‘40 c’era stato chi aveva tolto l’azienda ai proprietari e l’aveva socializzata, con l’intenzione di dividere le entrate e non solo le perdite come avviene puntualmente oggi.