(ASI) Un mondo di bulli senza regole si muove indisturbato. Senza regole, senza consapevolezza, senza educazione/rieducazione, senza sanzioni.
È gravissimo l’episodio di Napoli, dove un quattordicenne è stato ridotto in fin di vita per “uno scherzo”, come si ostina a ripetere la madre di uno dei responsabili, difendendone aggressività e violenza. Ma poi la manifestazione in strada per quel ragazzino seviziato ha voluto giustamente ribadire che “scherzare” è proprio un’altra cosa. Napoli non è indifferente e diversi cittadini hanno deciso di alzare la testa.
Negli stessi giorni un analogo episodio di bullismo e violenza, questa volta "di casa nostra", ha visto un sedicenne venire picchiato sull’autobus a Canossa e buttato giù con il naso spaccato a una fermata qualsiasi. Nell’indifferenza o nella paura di coloro che hanno assistito, muti e inerti, alla scena. Anche l’autista del servizio pubblico stava per abbandonarlo, ripartendo con il pullman. Gli episodi di aggressione agli autisti non mancano nelle cronache e quindi è comprensibile la sua paura. Ma ciò che stupisce è che nessuno abbia chiamato le forze dell’ordine.
Anche questo episodio poteva finire in tragedia. Eppure se ne è parlato troppo poco. Silenzio, paura e indifferenza ci rendono “complici” del male, scriveva Hanna Arendt, ogni volta che guardiamo dall’altra parte, che stiamo zitti.
Il bullismo è un fenomeno che riguarda sempre più ragazzi e non può essere ignorato, anche alla luce delle conseguenze tragiche che causa o contribuisce a causare a danno delle vittime. Il “bullo” adotta comportamenti di aggressività, intenzionale e premeditata, nei confronti di un soggetto più debole per una presunta diversità dovuta all’aspetto estetico o ad altri elementi “bersaglio” quali la timidezza, l’orientamento sessuale, l’etnia, l’abbigliamento e persino la disabilità. I compagni degli atti di bullismo hanno il ruolo di complici o di spettatori. Senza di loro la violenza dimostrativa non avrebbe senso.
I dati pubblicati dal Viminale nel settembre 2014 mostrano una vertiginosa crescita del fenomeno e le segnalazioni raccolte sono, evidentemente, solo la punta dell’iceberg di un silenzio diffuso. Accanto a un'efficace attività repressiva nei confronti dei soggetti imputabili, è necessario lavorare in una prospettiva di prevenzione e di educazione coinvolgendo i minorenni, le famiglie, le scuole e le diverse realtà educative (sportive, parrocchiali, associazionistiche) supportandole anche tramite un concreto sostegno informativo e formativo. A Reggio alcune scuole stanno affrontando il fenomeno. Occorre che anche i media se ne facciano carico per attivare con urgenza campagne di informazione e sensibilizzazione finalizzate ad accrescere la conoscenza di un fenomeno in gran parte sommerso, ignorato o sottovalutato.