(ASI) Intervista esclusiva dell'ex segretario pd si Spoleto: il voto del 25 maggio e le dimissioni, il buco di bilancio, la nuova giunta Cardarelli, le critiche al Pd regionale e provinciale, gli scenari politici futuri nella città del Festival, il nuovismo male vecchissimo della politica.
Andrea Bartocci, quarantatré anni, funzionario dell’Azienda Ospedaliera di Perugia, è stato eletto segretario del Pd di Spoleto nel 2010, e rieletto nel 2013, neanche un mese fa, si è dimesso dalla carica dopo la sconfitta elettorale del Pd e del candidato sindaco Dante Andrea Rossi alle elezioni di maggio.
D. Bartocci, durante queste settimane che sono seguite alle elezioni, che riflessioni ha maturato sullo storico voto che ha consegnato Spoleto alla destra?
R. Sapevamo in partenza che si sarebbe trattato di un voto complicato, dopo cinque anni di amministrazione Benedetti, che non aveva certo lasciato un buon ricordo. Vorrei ricordare che tutte le Amministrazioni locali, sono state colpite dalla crisi e dalla carenza di risorse, ma questa non può essere una scusante, altre Città vicine hanno riconfermato i loro sindaci, segno che anche in una situazione di difficoltà si può ottenere il consenso dei cittadini. Quello che fa la differenza è il modo in cui ci si rapporta di fronte ai problemi della Città e dei suoi Cittadini. L’assenza dell’Amministrazione tra la gente ha pesato tanto quanto le questioni del “buco di bilancio” e della bocciatura al tar del piano regolatore. Si partiva con una situazione largamente compromessa, all’insegna del “tutti a casa quelli che hanno governato”; e con un quadro politico ancora peggiore: tutti contro il Pd e la lista dell’ex sindaco Brunini a dividere ancor più a sinistra. Eppure, dopo il primo turno, con una coalizione al 40%, il nostro candidato sindaco al 38%, il Pd al 30,4%, e il centrodestra frammentato, avevamo visto alimentate le nostre speranze. Ecco perché la sconfitta fa tanto più male.
D. Una sconfitta che lei ha voluto pagare dimettendosi da segretario del Pd cittadino e dicendo che il suo gesto doveva servire per aprire una discussione seria su come rilanciare il partito. Un comportamento non molto frequente in politica, almeno in Italia. Molti lo hanno elogiato, ma non ha avuto l’impressione che alcuni lo abbiano fatto solo formalmente, mentre in concreto pensavano più al posto che lei liberava che non al messaggio di chiarimento che lei ha voluto lanciare?
R. Guardi, io credo fermamente che tra le regole auree della politica ci sia anche quella per cui chi perde, chi non ottiene consenso, si deve dimettere. E, anche, quella per cui chi ha le massime responsabilità di rappresentare una parte politica, come ce le avevo io a Spoleto, si assume tutte le colpe in prima persona. Dico tutte, anche quelle che soggettivamente non ha. Ma non dico al posto di tutti, perché anche altri dovrebbero avere il coraggio di caricarsi la propria parte di fardello…
D. …A chi si riferisce?
R. Guardi, io mi sono dimesso per dar modo al partito di aprire una discussione interna il più possibile disancorata da personalismi, aperta, franca, critica e utile. Mi sarei aspettato, per esempio, che, vedendo i risultati qua e la per l’Umbria, anche i segretari provinciale e regionale arrivassero dimissionari alle rispettive assemblee degli iscritti.
D: Quindi, per fare i nomi, Giacomo Leonelli e Dante Andrea Rossi (quest’ultimo, tra l’altro, candidato a sindaco sconfitto proprio nella città del Festival dei Due Mondi, n.d.r.)…
R. Loro, ma non solo loro. Se si fossero presentati dimissionari, avrebbero contribuito a rimettere al centro l’analisi politica approfondita che serve per capire i veri motivi per cui il Pd e la sua classe dirigente, in città non secondarie della provincia e della regione, non rappresentano più i cittadini. Invece che questa apertura, abbiamo assistito ad un ripiegamento miope e strumentale nelle proprie logiche autoreferenziali e interne, cioè proprio quelle per cui la gente ci ha punito. Insomma, si è preferito dare spiegazioni tutte e solo tendenti a dare le colpe agli altri, magari ai cosiddetti “vecchi”, e fare analisi di comodo. Tutte cose, queste si, della politica vecchissima, poco profonde e del tutto inutili, anzi deleterie, per la causa del rinnovamento di cui tanti si riempiono la bocca.
D. Adesso, dopo la sconfitta, a Spoleto, quali scenari si aprono in Comune per la vostra parte politica?
R. Nell’istituzione comunale saranno cinque anni complicati, perché non siamo abituati a fare l’opposizione, insomma ci manca il know how per essere minoranza e dovremo acquisire in fretta gli strumenti che servono. Devo dire che, a mio avviso, nel primo consiglio comunale siamo partiti male, votando Panfili, il candidato della maggioranza a Presidente del Consiglio comunale. Una persona stimabile, per carità, ma candidato della maggioranza, non nostro. Averlo votato, tra l’altro insieme alle altre minoranze del M5S e della Lista Emili, può aver dato come prima impressione ai cittadini quella di un’interpretazione consociativa del nostro ruolo. Invece, era un’occasione per aprire anche noi una nuova fase all’insegna della chiarezza e distinzione dei ruoli tra maggioranza e opposizione. Quello che io auspico per i prossimi cinque anni è proprio un’opposizione a schiena dritta, rigorosa sui contenuti e nei metodi, tutta politica e senza il ricorso alla via giudiziaria, che era quella privilegiata da chi stava in opposizione e ora si cimenta con il governo della città.
D. E nel Pd di Spoleto che succederà?
R. Nel corso di due assemblee degli iscritti, si è sviluppato un dibattito tra chi voleva il commissariamento tout court del partito e chi auspicava un traghettamento verso un congresso straordinario.Il segretario regionale Giacomo Leonelli ha fatto la proposta di nominare un comitato di reggenza provvisoria che scriva le regole per svolger il congresso comunale all’inizio di autunno. Leonelli ha proposto di far entrare nel comitato il capogruppo in consiglio comunale, Dante Andrea Rossi; Marco Trippetti, della segreteria regionale; Wilma Fiata, presidente dell’assemblea comunale; Valia Fedeli Alianti, responsabile donne del Pd spoletino; il consigliere regionale Giancarlo Cintioli; ed i segretari dei cinque circoli territoriali, che in realtà sono quattro perché uno di loro era dimissionario già prima delle elezioni.
D. E lei è soddisfatto di questa soluzione?
R. Io penso che nella situazione delicata in cui ci troviamo, col partito che deve dare segni reali di saper aprire le proprie finestre e far entrare aria pulita nelle proprie stanze, anche la composizione di un semplice organismo transitorio può essere un’occasione preziosa per far capire dove si vuole realmente andare. Io e molti altri avremmo preferito che si fossero scelte persone iscritte al Pd, ma che nel quinquennio trascorso non erano state coinvolte in ruoli di partito e istituzionali di primo piano. Questo, per dare l’idea di voler davvero voltare pagina, di aver fatto tesoro degli errori commessi, di voler tornare ad aprirsi alla gente. Invece, si sono scelte persone che, come segretari di circolo e/o come candidati, o come classe dirigente del partito, sono da anni sulla breccia, e quindi hanno tutti incarnato la sconfitta elettorale, nessuno escluso. Alla fine, dato che sono l’unico a farmi da parte, non vorrei apparire l’unico capro espiatorio che permette agli altri di rifarsi una verginità senza pagar dazio.
D. Aldilà delle recriminazioni, cosa auspica per il Pd della sua città?
R. Guardi, le mie non sono affatto -o comunque non sono solo, né principalmente- recriminazioni. Sono riflessioni politiche che mi sforzo di tenere alte, al di sopra di diatribe personali e beghe di potere. Auspico per il Pd di Spoleto la ricostituzione di un gruppo dirigente all’altezza, capace veramente di interpretare il partito come comunità di persone che condividono valori, lavorano appassionatamente e disinteressatamente per il bene comune e per questo vengono riconosciuti dai cittadini come degni di rappresentarli…
D. Insomma, una rifondazione, di cui quelli che lei ha tratteggiato sono però dei presupposti, più che dei contenuti politici: ci vorrà anche dell’altro…
R. Certo che sì! Ma la sconfitta è stata una disfatta appunto perché sono venute a mancare soprattutto quelle cose di base: questo è il metro che ne misura la gravità. Occorre prima di tutto, e non solo a Spoleto, ripristinare il circolo virtuoso della politica, la fiducia in essa come luogo di discussione vera, aperta a tutti, sulle scelte comuni; come strumento di governo giusto delle cose, lontano da favori, privilegi, caste e ipocrisie. Dopo dovranno necessariamente venire i contenuti. Chi sottovaluta questa scala di priorità, non mira davvero a rinnovare il Pd e la politica in generale, sia che lo faccia inconsapevolmente, sia che lo faccia per un atteggiamento gattopardesco di calcolo e tornaconto.
D. Sulla giunta del neo sindaco Fabrizio Cardarelli che giudizio esprime?
R. Individualmente, mi sembrano tutte persone serie e rispettabili, cui va concesso il beneficio d’inventario. Ora per loro, che fino a ieri hanno fatto opposizione anche senza risparmiare clamori, è arrivato il momento di dimostrare che non sanno solo contestare e spaccare criticamente il capello, ma anche proporre e attuare soluzioni ai problemi. Il banco di prova più importante sarà certo quello del cosiddetto buco di bilancio. Finora, stando all’opposizione, hanno potuto dichiarare e “sparare” le cifre più disparate sul presunto ammontare del disavanzo. Ora, dai banchi del governo, hanno tutte le carte, e le relative responsabilità, per dichiarare le cifre vere e adottare i provvedimenti di rientro. Sarà per loro un primo test di affidabilità davanti ai cittadini.
D. Politicamente, su un nome della nuova amministrazione si sono appuntate in particolare le vostre critiche…
R. …Vero, quello dell’assessore all’ambiente, Vincenza Compagnani. E’ stata una rappresentante del Pd, per poi passare all’opposizione a metà legislatura e infine, alle recenti elezioni comunali, ha sostenuto l’ex sindaco Brunini. Adesso, ce la ritroviamo nella giunta Cardarelli. Insomma, una persona tutt’altro che estranea alla “politica politicante” che la giunta Cardarelli ha detto essere estranea alle proprie ispirazioni. Al contrario, secondo noi la Compagnani è semplicemente il primo, non leggero dazio che Cardarelli paga a Brunini e al vecchio sistema della politica. E mi permetta l’osservazione ulteriore che, se proprio Cardarelli doveva imbarcare qualcuno della lista Brunini, avrebbe almeno potuto scegliere altri nomi che io reputo in grado di dare un contributo politico e di conoscenze maggiore.
D. Diamo uno sguardo oltre Spoleto, all’Umbria che è uscita dal voto di maggio…
R. Aldilà delledifferenze locali, che pure esistono e sono legate anche alle peculiarità specifiche di ogni realtà, mi pare di poter dire che il dato elettorale generale che emerge dalla nostra regione è che vengono confermati dal consenso popolare i sindaci e gli amministratori che han saputo trasmettere segnali di affidabilità, concretezza, e capacità di presenza, dialogo e ascolto tra i cittadini. Per esempio, i casi di Terni, Foligno e Marsciano, dove non si è corso dietro al “nuovo di zecca” fine a se stesso ma, appunto, all’affidabilità. A questo proposito, mi lasci notare che, invece, alcuni “nuovi” non sono stati riconosciuti dai cittadini come meritevoli della loro fiducia solo in quanto “nuovi”. Segno che il dibattito sul rinnovamento delle classi dirigenti dovrà tener conto di un dato che i cittadini hanno dimostrato di cogliere perfettamente: il “nuovismo” agitato strumentalmente, è un vizio in realtà vecchissimo della politica, che in ogni epoca e latitudine è servito solo a far fuori chi aveva già ruoli e potere, a prescindere, il più delle volte, da competenze, capacità e interessi generali.
Daniele Orlandi - Agenzia Stampa Italia