(ASI) Come hanno fatto a trovarne tanti? Probabilmente hanno spulciato, con pazienza certosina, tutti i brogliacci delle varie procure, sparse su tutto il territorio italiano, per scovare i “migliori” e li hanno messi in lista per le elezioni del Parlamento europeo.
All’inizio erano ventuno ma non tutti ce l’hanno fatta per conquistare un seggio a Strasburgo, pur prendendo in totale 1,242 milioni di voti. Mi riferisco ai candidati che hanno nel loro curriculum soprattutto “carichi pendenti”, vale a dire già condannati o indagati per reati che vanno dal falso, all’abuso d’ufficio, dalla truffa all’associazione per delinquere, alla corruzione, finanziamento illecito, evasione fiscale, bancarotta fraudolenta, riciclaggio, insomma una significativa rappresentazione dei reati, tra i più gravi del codice penale, tali da far accapponare la pelle. Perfino un arrestato, Paolo Romano, candidato nel Nuovo centrodestra, la lista del ministro degli interni (degli interni!), Angelino Alfano, ha preso 11.882 voti. Quelli eletti, ora puntano decisi più che a cambiare l’Europa all’ampia immunità garantita dall’Europa stessa. D’altronde da noi il termine illegalità ha significati strani, bizzarri, personali, tanto che ormai non si scandalizza più nessuno. Le storie di personaggi, arrestati di recente, dall’Expo agli ex ministri, sanno d’incredibile. C’è, perfino, chi per fare carriera, fino a diventare non direttore del catasto, ma ministro degli Interni, si è fatto raccomandare da un delinquente comune. La lettera del suddetto delinquente all’ex ministro per ricordargli (semmai si fosse scordato) i favori che aveva ricevuto, pubblicata qualche giorno fa da un quotidiano, lascia senza fiato. E allora, uno, sbigottito, incredulo, sconsolato, si chiede: ma è la stessa Italia quella che il 23 maggio, con enfasi e tanta retorica, ricorda l’anniversario dell’uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e di tutti gli assassinati dalle varie mafie, con la giornata della legalità e quella che due giorni dopo, il 25, manda a rappresentare il nostro Paese tanti condannati ed indagati a vario titolo. Sfruttando, in maniera indecorosa, del tutto impropria, come una clava, il secondo comma dell’art. 27 della Costituzione il quale stabilisce che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. E’ la stessa Italia, purtroppo: un giorno di legalità e 364 di illegalità. Sentite che ha detto in quell’occasione, a Palermo, Pietro Grasso, ex procuratore nazionale antimafia, attuale presidente del Senato: “Per sconfiggere la mafia bisogna lottare qualsiasi forma di illegalità, dal lavoro nero alla corruzione”. Appunto. Per questo è impossibile sconfiggerla. E don Luigi Ciotti, il fondatore di “Libera”, la rete di associazioni per la legalità e la giustizia, quando gli viene chiesto: le mafie, don Ciotti, le fermeremo mai? “Non lo so. Se fosse soltanto un problema criminale non sarebbe poi così difficile. La mafia è cambiata, è internazionale, diffusa e la sua forza, come sempre, è fuori dalla mafia stessa, non dentro. Io nel mio piccolo posso dire che vanno monitorati i reati spia, come la corruzione che accompagna sempre i reati mafiosi. Ma lo dico in un Paese che non è riuscito neanche a varare uno straccio di legge”. Infatti negli ultimi tempi, sugli ordini di arresto, il reato più frequente, ipotizzato dai magistrati inquirenti, è la corruzione, non a caso siamo tra i paesi più corrotti del mondo. E non solo non facciamo la legge, i corrotti li mandiamo anche in giro per il mondo, a rappresentarci. Che quadro desolante.
Fortunato Vinci – Agenzia Stampa Italia