Calabria. La processione “commissariata” e le nomine sconcertanti: messaggi ambigui sulla legalità

(ASI)La processione del Venerdì Santo “commissariata”, in due paesini del vibonese, in Calabria, dal Comitato per l’ordine e la sicurezza, che voleva che le statue, per il rito dell’”Affruntata”, dovessero essere portate a spalla dagli uomini della protezione civile, per evitare “infiltrazioni” della ‘ndrangheta, ha fatto scalpore.

E così il vescovo della Diocesi di Mileto e Tropea, mons. Luigi Renzo, davanti alle proteste dei fedeli, ha deciso di annullare la manifestazione religiosa. Come si fa con i tanti consigli comunali, sciolti per infiltrazioni mafiose.

E’ vero, qualche volta, per i capi delle ‘ndrine, le processioni sono una “vetrina”, (come quella di fare il presidente della squadra di calcio, o il presidente della pro-loco) ma non si capisce come si possa proibire a qualche (presunto) delinquente, che è in libertà, cosa che non è un dettaglio, di portare a spalla la statua del Santo, come tanti altri fedeli. Non so chi, e secondo quali leggi, possa imporre un divieto di questo genere. E siccome non si può sempre “commissariare” la processione, com’è stato fatto a Sant’Onofrio, vorrebbe dire, che d’ora in poi, non si faranno più le processioni, almeno nei paesi a più alta densità mafiosa.

Sarebbe più opportuno, però, oltre a questo messaggio virtuale, che alla fine è ben poca cosa, considerando che lì, in quegli ambienti, i boss non devono certamente aspettare la processione per dare dimostrazione di potere, che lo Stato, nelle sue articolazioni, centrali e locali, mandasse sempre un messaggio forte e univoco. E questo purtroppo non accade. Anzi, spesso succede che il messaggio sulla legalità sia ambiguo, disarticolato, contradditorio. Come stanno a dimostrare alcuni fatti, peraltro di stretta attualità, cominciando dalla mancata nomina di Nicola Gratteri, procuratore aggiunto al Tribunale di Reggio Calabria, a ministro della Giustizia. Si disse, allora, che Matteo Renzi, nel recarsi al Quirinale con la lista dei ministri, da sottoporre alle valutazioni di Giorgio Napolitano, avesse scelto come Guardasigilli, proprio il magistrato calabrese, ma che poi, nel corso del confronto con il Capo dello Stato, siano sorti dei problemi, nel senso che non si è ritenuto opportuno che un procuratore passasse direttamente dagli uffici giudiziari al ministero della Giustizia. E non si è capito perché, in quanto non si doveva presentare alle elezioni, doveva solo traslocare da Reggio Calabria a Roma, e continuare quel lavoro di contrasto alle cosche mafiose che tanto bene sta facendo a Reggio Calabria. Non solo era opportuno, era proprio necessario perché Gratteri conosce benissimo la lacunosità della legislazione vigente, quel mare magnum dove navigano (bene) gli avvocati difensori dei mafiosi per limitare i “danni” ai loro assistiti. Solo lui, non me ne voglia il ministro Andrea Orlando, che conosce le mafie come io conosco il cinese, avrebbe potuto dare un contributo efficace nella lotta alla mafia, a limitare alla ‘ndrangheta lo strapotere che detiene in Italia e nel mondo.

Qualcuno ha anche scritto che non lo volevano i magistrati. Ammesso che sia vero: che idiozia è mai questa? Se si nomina ministro un professore, si chiede il parere agli insegnanti? Un’occasione sprecata. Ma sulla strada della legalità ci sono altri messaggi ambigui che lasciano perplessi.

Uno è quello del ministro Maria Elena Boschi che, intervenendo alla Camera, ha dichiarato che “non è intenzione del governo di chiedere dimissioni di ministri o sottosegretari sulla base di un avviso di garanzia, ma solo per problemi di opportunità politica”. Una “opportunità” che vale fino ad un certo punto, giacché sono rimasti, tranquilli, al loro posto, il ministro Maurizio Lupi (indagato per abuso d’ufficio) il viceministro Bubbico (rinviato a giudizio per lo stesso reato) e i sottosegretari, peraltro nominati appena qualche settimana fa, Barra, Del Basso de Caro e De Filippo indagati per peculato nelle “rimborsopoli” regionali. Dal canto suo, Luciano D’Alfonso, ex sindaco di Pescara, già arrestato, rinviato a giudizio tre volte, due per corruzione e una per truffa e falso, è il candidato governatore alle regionali del 25 maggio. E poi c’è, candidato per il Parlamento Europeo, nelle liste del Nuovo centrodestra, che è il partito - e non è per niente un particolare di poco conto - di Angelino Alfano, ministro degli Interni, Giuseppe Scopelliti, ex presidente della Regione Calabria, appena dimessosi dall’incarico, in seguito alla condanna del Tribunale di Reggio Calabria a sei anni di reclusione per abuso d’ufficio e falso in atto pubblico con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Ma siccome la squadra, a Gaetano Quagliarello, coordinatore nazionale del Ncd, non gli sembrava abbastanza solida e compatta ha anche aggiunto Lorenzo Cesa, indagato anche lui. Tutti, naturalmente, sono da considerare innocenti, come impone la Costituzione, ma tutti hanno diligentemente trascurato quella “opportunità politica” di cui parlava il ministro Boschi.

Non meno preoccupanti sono le riflessioni fatte dal procuratore di Roma (prima di Palermo e Reggio Calabria) Giuseppe Pignatone sulla “contraddittoria” riforma della carcerazione preventiva, appena approvata dal Senato e in attesa dell’ultimo passaggio alla Camera. “Io capisco la ragione delle modifiche, e sono d’accordo sulla necessità di ridurre la carcerazione preventiva, quando proprio non se ne può fare a meno - spiega il magistrato - però stanno rendendo impossibile l’arresto, anche domiciliare, per delitti che considero di un certo allarme sociale. Il che significa lasciare fuori la corruzione e gli altri reati tipici dei cosiddetti “colletti bianchi”, comprese le bancarotte, e le evasioni fiscali anche di grandi dimensioni, malversazioni e altre violazioni di tipo economico. Ma non solo, il legislatore deve sapere - aggiunge Pignatone - che così non si potrà arrestare nemmeno chi compie delitti di strada come lo scippo, il furto, fino alla rapina, a meno che non entri in una banca, impugnando il kalashnikov”.   

Ha ragione Nicola Gratteri quando, a proposito della sua mancata nomina a ministro dice “sono altri che devono parlare e spiegare non io”. Giustissimo. Sono quelli che pensano si possa battere la criminalità organizzata, “commissariando” la processione e affidando il ministero della Giustizia ad Andrea Orlando e la commissione antimafia a Rosy Bindi.

Fortunato Vinci - Agenzia Stampa Italia

 

 

 

 

 

 

 

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