L’architettura costituzionale di Renzi e l’allarme degli intellettuali
(ASI) La cancellazione, o meglio la trasformazione, del Senato così com’è stata disegnata da Matteo Renzi è utile e necessaria, e fa risparmiare, o è, al contrario, come sostengono molti intellettuali e giuristi, firmando l’appello di “Libertà e Giustizia”, uno stravolgimento della Costituzione e un rischio per la democrazia del nostro Paese? Immagino che un po’ tutti, in questi giorni, ci siamo posti davanti a questo dilemma che, a ben vedere, è di sostanza e non è affatto di poco conto. Ritengo abbia ragione il Presidente del Consiglio ed il suo governo, ma le osservazioni, almeno alcune, non siano del tutto prive di fondatezza. Ha ragione Matteo Renzi ad accelerare per la (quasi) abolizione del Senato che in realtà, adesso, ha le stesse competenze della Camera, quindi i senatori fanno (e disfanno) quello che hanno deciso i deputati, quindi, raddoppiano e a volte triplicano i tempi per l’approvazione delle leggi.
Ma, allora, se la questione sta in questi termini, come mai - è legittimo chiedersi - i padri costituenti, eccellenti giuristi, non capirono il problema? Soprattutto perché avevano ancora impresso negli occhi gli orrori della dittatura fascista e in quella situazione cercarono giustamente di predisporre pesi e contrappesi per garantire quello che più d’ogni altra cosa contava in quel momento, vale a dire la democrazia. Ora è giunto il momento di cambiare il bicameralismo perfetto, e su questo sono tutti, o quasi, d’accordo. Ma togliendo - e qui sta il nocciolo del problema - la competenza legislativa al Senato, modificandolo secondo il disegno governativo, si lascerebbe il potere di fare le leggi esclusivamente alla Camera, costituita da deputati, non eletti dal popolo, ma nominati da tre, quattro segretari dei partiti, così come prevede la nuova legge elettorale Italicum, già approvata dalla Camera, come peraltro prevedeva il tanto famigerato, e illegittimo, Porcellum.
Non solo, da deputati che hanno imposto la loro nomina, potendosi presentare, con spacciata assoluta arroganza, perfino in otto collegi. E, come se non bastasse, con esclusione dei piccoli partiti, o movimenti, essendo la soglia di sbarramento (sempre secondo l’Italicum) al 4,5% se il partito è in una coalizione e, addirittura, l’8 % se si presenta da solo. Come si vede, senza il voto di preferenza, significa, in pratica, affidare tutto il potere legislativo a tre, massimo quattro persone, cioè ai segretari nazionali dei partiti più importanti. Questo è un rischio per la democrazia? Può esserlo. Allora per venire incontro a quelle che sono le pur legittime, e fondate, preoccupazioni degli intellettuali che hanno firmato l’appello, all’Italicum, quando sarà esaminato dai senatori, potrebbero essere apportate sostanziali modifiche; la prima delle quali sarebbe il voto di preferenza, poi che i candidati si possono presentare solo in un collegio e che la soglia di sbarramento sia ridotta drasticamente, poniamo al 2%.
Ed io avrei anche un’altra idea. Aggiungere al secondo comma dell’art. 56 della Costituzione, che stabilisce in 630 il numero dei deputati, che “ comunque i seggi definitivi saranno calcolati, in maniera proporzionale, rispetto al numero dei votanti”. Così, se a votare dovesse andare soltanto il 50 % degli aventi diritto, i deputati, in proporzione, diventerebbero la metà, vale a dire 315. Sarebbe un modo per ottenere tre eccezionali e straordinari risultati: ridurre il numero dei deputati,  ridurre le spese e dare dignità a chi non si sente di votare personaggi impresentabili, imposti dai segretari dei partiti, che non meritano alcuna fiducia.

Fortunato Vinci  -
Agenzia Stampa Italia

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