Davanti a questa situazione milioni di italiani fortunatamente continuano a vivere in modo onesto e pagano tutte le tasse che devono, pur non ottenendo in cambio uno Stato sociale per nulla adeguato; alcuni italiani però cercano mille espedienti per fare la cresta sulle tante gabelle che incombono sulla nostra testa. Deprecabile quanto si vuole ma la cosa è ancora peggiore quanto a cercare espedienti per pagare meno del dovuto sono le aziende che invece dovrebbero trainare il sistema Italia.
Alla luce di ciò appare ancora più deprecabile l’ultimo rumor che arriva dal Lingotto di Torino in base al quale Sergio Marchionne, il miliardario con il pullover, presenterà al consiglio di amministrazione della Fiat in programma nei prossimi giorni, la proposta di trasferire la sede fiscale del gruppo che nascerà dalla fusione fra il monopolista italiano e Chrysler in Gran Bretagna.
Se l’indiscrezione dovesse essere confermata e il Cda dovesse approvarla la Fiat non verserebbe più un euro, o quasi nelle nostre casse statali; il risparmio in particolare sarebbe sulle tasse da pagare sui dividendi agli azionisti.
La Fiat dall’Italia ha sempre avuto molto, lo Stato è spesso intervenuto con soldi pubblici a coprire le perdite del gruppo creando un sistema capitalistico in cui gli utili venivano privatizzati mentre le perdite statalizzati, un trattamento di favore che però non è stato applicato a molte altre aziende.
In barba ad ogni legge anti cartello alla famiglia Agnelli-Elkann è stato permesso di cannibalizzare tutte le altre aziende automobilistiche nostrane in nome di una italianità che oggi l’abruzzese di svizzera vuole buttare nel cestino.
Creando un simile trust è stato permesso alla Fiat di fare il bello ed il cattivo tempo per quanto riguarda il contratto dei metalmeccanici e di tutto ciò che ruota intorno a questo indotto, senza contare le tante cattedrali costruite nel meridione con i soldi pubblici per far sviluppare questa azienda privata.
Uno stato serio decenni fa avrebbe smesso di foraggiare la Fiata trattandola come una qualsiasi azienda, al massimo socializzandola o avocandola a sé dopo l’ennesimo prestito a fondo perduto. Uno Stato serio però, non certo l’Italia.
Fabrizio Di Ernesto Agenzia Stampa Italia