(ASI)"Quello che la folla fece a mio marito e a mio figlio non può essere giustificato da nessuna religione". La vedova che ha pronunciato pochi giorni fa queste parole è Safia Farkach, moglie del defunto Rais della Libia Muammar Gheddafi.
Era il 20 ottobre 2011 quando si consumava il rituale criminoso che la signora Farkach descrive sopra, in una lettera alla radio moscovita “The voice of Russia”.
La moglie del Rais oggi vive nel sultanato dell'Oman, nella penisola arabica, assieme a tre figli. Oltre all'uccisione del Rais e del figlio Mutassim, la famiglia Gheddafi ha subìto la perdita di ogni contatto con il figlio Saif Al Islam, arrestato dai ribelli nel novembre 2011.
Ecco le parole esatte usate per i corresponsabili morali di tali eventi da Safia Farkach nella lettera in memoria di Gheddafi, nell'anniversario del suo assassinio.
La lettera è stata consegnata alla radio moscovita da sua sorella Fatima.
“Per non dimenticare l'aggressione della NATO contro il mio paese, che ha fatto precipitare la Libia nel caos, e per ricordare mio marito, che io ritengo un martire, il mio caro figlio e le persone che erano con loro, il 20 ottobre 2011, quando forze aeree della NATO bombardarono la dimora del capo della Libia, e quindi, i loro corpi feriti, furono massacrati da una folla di persone che posso chiamare in nessun altro modo se non criminali.
Quello che questa folla ha fatto a mio marito e mio figlio non può essere giustificato da nessuna religione.
E'altrettanto criminoso che i resti di questi martiri siano ancora negati ai loro familiari, un qualcosa che non ha precedenti nella storia.
Chiedo che tutti i membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l'Unione europea e tutti coloro che parteciparono in modo diretto o indiretto a questo omicidio debbano rivelare dove siano le spoglie di questi martiri e debbano permettere ai loro parenti di seppellirli in modo consono.
Io pretendo anche che l'Unione Africana, di cui Muammar Gheddafi è stato un fondatore, debba indagare sull'omicidio di lui e di tutte le persone che erano con lui in quel giorno.
Chiedo che la Comunità internazionale mi aiuti doverosamente a venire in contatto con mio figlio Saif al-Islam, che è stato isolato da tutti i membri della nostra famiglia dal momento del suo arresto. L'unico “crimine” di Saif è stato aver avvertito tutti che questa rivoluzione avrebbe condotto la Libia nel caos, situazione a cui oggi stiamo assistendo.
Saif al-Islam è sempre stato preoccupato per la situazione dei diritti umani in Libia.
Egli ha incontrato molti ex radicali islamici dalle carceri americane ed europee e li ha persuasi a diventare cittadini rispettosi della legge.
Molti di loro gli hanno promesso che non sarebbero più tornati in attività terroristiche.
Ma ora, alcune delle persone che Saif ha salvato dal carcere chiedono che egli debba essere giustiziato.
Due anni dopo il barbaro assassinio di mio marito, di mio figlio e dei loro compagni, chiedo che la mia voce - la voce di una vedova del capo di un paese in esilio e di una madre – debba essere ascoltata.”
La Comunità internazionale e la NATO il 19 marzo 2011 celarono dietro la campagna militare-energetica Odyssey Dawn una missione umanitaria contro un feroce dittatore.
I media italiani, coadiuvando l'impegno del Parlamento in Odyssey Dawn, riportarono a suo tempo tale lato della medaglia per giustificare l'entrata in guerra.
A due anni di distanza la Primavera araba appare depauperata di tutte le aspettative democratiche che le istituzioni europee le hanno conferito.
Se la farsa delle “fosse comuni” di Gheddafi, una farsa mediatica tutta italiana sui crimini umanitari del Rais, oggi si puo' ufficialmente definire una menzogna storica, le barbarie appoggiate dal nostro Paese bagnano ancora di sangue la terra libica.
Maria Giovanna Lanotte - Agenzia Stampa Italia