Numerose le denunce che invano sono state lanciate contro le disumane condizioni di detenzione dei migranti dentro questi centri, in attesa di rimpatrio, e altrettanto numerose le critiche rivolte alla mancanza di coordinazione europea nello sviluppare una strategia di accoglienza delle persone che fuggono dalle difficili situazioni dei paesi di partenza e all’incapacità comunitaria di creare corridoi umanitari. Spesso i media e i giornali si occupano della questione dell’immigrazione clandestina quasi esclusivamente in termini di sicurezza , ma molto raramente tra le prime pagine figurano le guerre, le guerriglie e i colpi di Stato che infiammano il continente Africano. Oppure se riescono a entrare nei megafoni della comunicazione, vengono etichettate come guerre tribali, cosi che il lettore o l’ascoltatore si risparmi il sacrificio di farsi due domandine sulle cause che le hanno determinate.
E’ come se fosse tutto normale li, un continuo spargimento di sangue che spesso ha il volto del turbocapitalismo occidentale. Un esempio su tutti è il caso del Coltan, un metallo prezioso , di cui l’80% in circolazione è estratto nella Repubblica Democratica del Congo, fondamentale per il funzionamento dei cellulari, dei pc e degli aerei. Una potenziale ricchezza per il paese che si è trasformata in una maledizione a partire dal 1996 e soprattutto nel 1998 con l’esplodere della prima guerra panafricana. Nel contendersi il controllo di una parte del Congo ricca di risorse minerarie si sono scontrati in fasi diverse 9 movimenti ribelli e 7 paesi africani (Uganda, Rwanda, Burundi, Angola, Zimbabwe, Namibia, Ciad) lasciandosi dietro una scia di 3,5 milioni di morti e 2,5 milioni di profughi e sfollati. Un Rapporto dell’Onu dell’ottobre 2002 parla di un traffico di risorse che ha coinvolto altri 17 paesi, di cui i 5 membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Il fenomeno migratorio, che in parte è una costante delle popolazioni, ma in parte è una variabile che può mutare a causa di determinate politiche estere, è appunto condizionato da questi avvenimenti. Applicare una politica di chiusura sui flussi di immigrazione , giustificata dal problema della sicurezza significa fare un’analisi superficiale del problema , che non prende in considerazione la questione delle politiche di integrazione e soprattutto il funzionamento della giustizia italiana. Trovare la scusa che farli affogare nel Mediterraneo gli eviti di diventare manodopera sottopagata non ha senso logico. Ancor meno attribuire la colpa delle tragedia su chi gestisce i barconi. Quello che colpisce è l’incapacità di alcuni di comprendere la traumaticità di questi viaggi, nonostante siamo stati un popolo di emigranti vittima di discriminazioni e violenze nelle terre di arrivo. Recita un pezzo di una poesia sugli emigranti di Edmondo De Amicis :” Ammonticchiati là come giumenti, sulla gelida prua morsa dai venti, Migrano a terre inospiti e lontane; Laceri e macilenti, Varcano i mari per cercar del pane.
Traditi da un mercante menzognero, Vanno, oggetto di scherno allo straniero, Bestie da soma, dispregiati iloti, Carne da cimitero, Vanno a campar d’angoscia in lidi ignoti”.
Gabriele Toccaceli – Agenzia Stampa Italia