La struttura familiare delle ‘ndrine rappresenta la principale differenza rispetto ai modelli organizzativi delle altre mafie. Grazie ai vincoli familiari e di sangue si crea un cemento che unisce e vincola gli ‘ndranghetisti uno all’altro, difatti i tradimenti sono delle rare eccezioni. Questo rende molto ridotto il fenomeno dei testimoni di giustizia rispetto alle altre organizzazioni criminali. La sua struttura orizzontale e l’autonomia delle rispettive cosche (‘ndrine) non permette di colpire il centro della ragnatela ed inoltre limita i danni e il contagio di un’eventuale tradimento. Questa peculiarità rappresenta il suo “marchio di qualità” unico, che unito alla sua capacità di riproduzione su scala globale gli ha consentito di ottenere un ruolo nevralgico nel ciclo nel narcotraffico. Oggi la mafia calabrese ha l’egemonia nell’importazione della cocaina colombiana in Europa, e ad essa le altre mafie italiane si devono rivolgere per l’approvvigionamento.
Nella ‘Ndrangheta si compie una miscela di arcaico e moderno come dimostra la fusione tra gli elementi esoterici contenuti nei riti iniziatici e la dotazione di organi che fanno da ponte verso il mondo imprenditoriale e le moderne esigenze economiche e finanziarie. Negli anni 70’ con la nascita della “Santa”, un compartimento a se stante all’interno dell’organizzazione, si compie un salto di qualità, grazie al quale diviene possibile ai boss muoversi nelle zone grigie di potere dove si intreccia il mondo imprenditoriale, la politica, gli apparati deviati dello Stato e la massoneria. Qui vengono presi gli accordi che contano.
Inizialmente l’emigrazione degli ‘ndranghetisti nel Nord Italia non derivò da una scelta volontaria, ma da un obbligo causato dal confino di Polizia. Per combattere la criminalità organizzata nelle Regioni meridionali, si riteneva sufficiente, in quegli anni, recidere i legami del mafioso con l’ambiente di origine. Si ricorreva così al soggiorno obbligato che imponeva al presunto mafioso di risiedere per un periodo di tempo – dai 3 ai 5 anni – fuori dal suo comune di nascita e di residenza. Con gli anni nella località di destinazione si è riprodotto un’ambiente analogo a quello di origine, come dimostrano le cerimonie di affiliazione e le riunioni operative scoperte in zone impensabili del centro-nord (per esempio nel Centro Falcone e Borsellino nelle rive del Seveso, in Lombardia).
Numerose sono le importanti inchieste e le operazioni militari che testimoniano le nuove prospettive mafiose al nord, come l’inchiesta “Countdown” del 1994, l’operazione “Decollo” del 2004, il processo “Crimine” scaturito dall’operazione omonima intrapresa dalla Dda di Reggio Calabria nel 2010. Esemplificativo è inoltre lo scioglimento dei consigli comunali di Bardonecchia nel 1995 e di Domodossola nel 1993, dove si riscontrano forti connivenze mafiose.
L’assalto della ‘Ndrangheta alle regioni del Centro-Nord Italia non ha risparmiato neanche l’Umbria. Da tempo numerosi segnali inquietanti hanno fatto emergere un’altra Umbria, diversa dall’isola felice che appare nelle cartoline.
Il problema delle infiltrazioni mafiose che sembrava non toccare il cuore dell’Italia ha raggiunto, invece, un livello allarmante come dimostra il rapporto del 2010 dei servizi segreti, rivolto ai massimi vertici dello Stato, che piazza l’Umbria al quinto posto della classifica delle regioni italiane per la presenza di clan mafiosi.
L’Umbria non è ancora una terra di mafia in senso stretto, ma in questa regione i mafiosi, i camorristi e gli ‘ndranghetisti ci sono: riciclano, trafficano e reinvestono. La grande mole di soldi liquidi, generati dal narcotraffico e dalle altre attività illecite pone un problema alla criminalità organizzata: il lavaggio e il riciclaggio del denaro sporco. Diviene necessario per le organizzazioni criminali ricercare zone storicamente estranee ai fenomeni mafiosi per poter sviluppare nella tranquillità dell’incoscienza generale la propria strategia criminale. A tale proposito, questa regione presenta delle caratteristiche tali da renderla appetibile agli occhi dei clan e quindi terra di conquista.
Gli elementi che hanno agevolato o agevolano le infiltrazioni della criminalità organizzata sono molteplici: in primis l’inesperienza e l’inadeguatezza delle istituzioni politiche nell’affrontare tale problematica e la conseguente tendenza a sottovalutare il fenomeno; la posizione geografica dell’Umbria, che si trova circondata da Regioni, quali il Lazio, la Toscana e l’Emilia Romagna in cui la presenza di tali gruppi criminali è già strutturata; la frammentazione del tessuto produttivo e le grandi difficoltà economiche delle piccole e medie imprese che spesso sono cadute nel mondo dell’usura aprendo le porte all’ingresso di capitali sporchi. L’usura è un reato sommerso strettamente correlato con il riciclaggio e per sua natura difficile da registrare a causa della paura della vittima a denunciare il fatto.
In Umbria le tenaglie dell’usura stritolano circa 3000 soggetti, tra privati e società, stando a quanto emerge da un’attività di monitoraggio condotta dalla Confesercenti; l’aeroporto di Sant’Egidio ( oggi San Francesco d’Assisi) nel quale, in passato, a causa degli scarsi controlli doganali si era proiettato l’interesse di narcotrafficanti e delle ‘ndrine calabresi, come dimostra l’operazione Windshear del 1998; il numero elevato di studenti a Perugia che ha ringiovanito la popolazione e quindi è cresciuta la propensione al consumo di sostanze stupefacenti, dato che l’età media di assunzione è compresa tra i 15 e i 45 anni. Il mercato della droga è sproporzionatamente ampio rispetto alla piccole dimensioni della Regione, come dimostra la quarta posizione occupata dall’Umbria nella classifica delle Regioni col maggior numero di sequestri di droga.
Da una stima di Liberainformazione del 2010-2011 si calcola che circa 6000 dosi al giorno vengono smerciate nel territorio umbro. L’Umbria detiene il triste primato delle morte per overdose, ossia 4 decessi ogni 100.000 residenti. Qui il narcotraffico ha contribuito alla nascita di sodalizi criminali eterogenei, composti da albanesi, nigeriani, magrebini e tunisini, ma guidati dalla ‘Ndrangheta e in misura minore dalla Camorra. Per quanto riguarda la tratta della droga, nella Regione umbra bisogna fare una netta distinzione tra la provincia di Terni e quella di Perugia. La prima può essere definita come un quartiere romano in quanto viene rifornita prevalentemente dalla capitale, mentre Perugia, in particolare è meta e transito di traffici internazionali, che partono dal centro Europa per poi giungere e attraversare il cuore verde d’Italia. Mentre a Terni lo spaccio avviene soprattutto nella periferia, a Perugia esso non conosce limiti come dimostra il degrado del centro storico e dei vicoli collaterali. Le altre vie dello spaccio principale vanno da Via della Viola alle traverse di Via dei Priori, per passare poi alla stazione Fontivegge e giungere a Via Settevalli.
Le inedite alleanze che si vengono a creare nel polmone economico delle mafie, ossia il narcotraffico, si ripropongono nel traffico di esseri umani e nella prostituzione. Il mercato del sesso rappresenta uno dei grandi affari malavitosi di Perugia. Il grande flusso di denaro frutto di queste attività illegali, viene reinvestito attraverso l’acquisto nella regione di aziende pulite con l’obbiettivo di ottenere, poi, il controllo sugli appalti. Questo tentativo è emerso dall’operazione Naos (la più importante per quanto riguarda le infiltrazioni mafiose in Umbria), realizzata nel febbraio 2008 dai R.O.S dei carabinieri e coordinata dalla DDA di Perugia. Inoltre ad aumentare la porosità del tessuto economico umbro rispetto alle metastasi mafiose ha giocato un ruolo cruciale il terremoto del ’97 e il grande business legato alla ricostruzione post-sisma. Un altro fattore che fa del cuore verde d’Italia un terreno potenzialmente fertile per la nascita di alleanze tra il mondo malavitoso, l’imprenditoria e la politica è rappresentato dalla forte presenza della massoneria e delle relative logge, che anche se legali possono costituire un punto di incontro di interessi forti. I suoi iscritti sono quasi tutti appartenenti alle classi alte della società : vi si ritrova dall’ingegnere al magistrato, al medico, al docente universitario al banchiere.
Il quadro delineato indica un fenomeno preoccupante che potrà essere attaccato efficacemente soltanto con l’elaborazione a livello nazionale di nuovi strumenti legislativi, attraverso un miglior funzionamento della giustizia a partire dall’informatizzazione delle pratiche, investendo sull’istruzione pubblica e sulla cultura e soprattutto dalla volontà politica (spesso assente) di colpire quei punti di incrocio tra i colletti bianchi, la criminalità organizzata e i servizi deviati dello Stato.
Gabriele ToccacelI – Agenzia Stampa Italia