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(ASI) “Come volevasi dimostrare, la crisi della politica e il succedersi di governi 'tecnici' o 'di larghe intese' genera il terreno più adatto allo spolpamento di quel che resta del patrimonio economico, produttivo ed energetico italiano. La privatizzazione alla chetichella di Eni ne è la prova più lampante”. Così Casa Pound Italia commenta quanto accaduto all'assemblea di Eni, dove lo Stato si è improvvisamente trovato in minoranza. “La quota di proprietà pubblica dell'Ente Nazionale Idrocarburi – continua Cpi – è stata, per la prima volta nella storia, messa in minoranza nell'ultima assemblea dei soci.
E' evidente che lo Stato non è nelle condizioni di proteggere i cosiddetti 'gioielli di famiglia' soprattutto dopo i continui appelli alla completa privatizzazione (fra gli altri si è distinta Emma Marcegaglia) e i diversi downgrade provenienti dalle maggiori agenzie di rating. Per non parlare dell'attacco speculativo che ha colpito una delle più importanti controllate del cane a sei zampe: sulla perdita di oltre il 30% di Saipem in un solo giorno la Consob ha aperto una indagine che segue le manovre di alcune banche americane”. Per CasaPound “le aziende pubbliche, soprattutto quando operano in settori strategici fondamentali, vanno difese strenuamente, magari stabilendo che lo Stato debba avere per legge una quota pari al 51%. Gli analisti già prevedono un effetto domino che porti ad attacchi simili verso tutte le aziende pubbliche, con effetti simili a quanto avvenne all'epoca del grande saccheggio degli anni '90, epoca in cui non a caso andavano di moda gli esecutivi tecnici, spesso con le stesse facce in circolazione oggi. Di fronte a al caso Eni bisogna finalmente chiarire se esiste ancora uno Stato in Italia”.
Redazione Agenzia Stampa Italia
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