(ASI) Lontano da Bangkok e dal turismo di massa, nelle provincie del sud della Thailandia, bombe ed agguati sono frequenti. Proprio ieri una serie di imboscate a colpi di arma da fuoco ha causato la morte di undici persone tra Yala, Pattani e Songkhla.
La guerriglia a bassa intensità fatta dalla minoranza musulmana di etnia malay e volta a colpire le forze di sicurezza thailandesi, ha causato, negli ultimi otto anni, la morte di oltre 5mila persone. Secondo un recente rapporto dell’organizzazione non governativa, Deep South Watch, gli scontri e soprattutto le vittime, sono aumentate nell’ultimo periodo. «Solo nel mese di giungo – riferisce l’organizzazione - 47 persone sono state uccise e 92 sono state ferite dagli attacchi».
Le origini del conflitto sono iniziate nel primo novecento quando la regione fu inglobata dall’allora Siam in cambio di un territorio della futura Malayesia dato agli inglesi. Solo recentemente, dal 2004 ad oggi, gli scontri si sono intensificati.
Era il 25 ottobre del 2004 quando le immagini del massacro di Tak Bai, villaggio del Narathiwat, una provincia a sud della Thailandia, fecero il giro del mondo mostrando file di cadaveri avvolti in sacchi di plastica. In quella giornata di ottobre circa tremila persone si erano ritrovate davanti alla stazione di polizia del villaggio per chiedere la liberazione di sei uomini che erano stati accusati di aver fornito armi a gruppi di estremisti islamici, quando ad un certo punto, le forze di sicurezza reagirono in maniera violenta. «La polizia – racconta un testimone di allora - aveva creato posti di blocco intorno a Tak Bai. Mi fermai. Scesi dal camion e vidi il corteo. Dopo pochi minuti iniziarono gli scontri. I poliziotti aprirono il fuoco. Ho visto un uomo cadere accanto a me per un colpo di pistola. Era morto. Le forze dell’ordine picchiavano i manifestanti e a un certo punto li accerchiarono. Usarono le canne dei fucili per colpirli al volto mentre erano sdraiati a terra. Presero anche me. Mi diedero diversi colpi sul collo e anche dei calci. Adesso non sento più come prima». Alla fine degli scontri, sei manifestanti rimasero a terra colpiti da armi da fuoco e più di settanta persone persero la vita durante il trasporto verso il campo militare di Pattani. Secondo le ricostruzioni ufficiali molte persone morirono per soffocamento dentro ai furgoni sovraffollati durante il trasporto, ma secondo alcune testimonianze, la polizia usò il pugno duro anche durante il viaggio.
Una soluzione politica sembra lontana anche perché, le autorità di Bangkok tendono a considerare la questione come «criminalità comune» e hanno per questo cercato di militarizzare la zona. Ma l’invio di soldati e forze di sicurezza non è servito se non a aumentare gli attacchi e le violenze.
Molto probabilmente la cultura malay non è mai stata capita da un Paese quasi esclusivamente buddista e il rischio e la paura è che le violenze si spostino nelle zone più visitate dai turisti occidentali.
Fabio Polese per Agenzia Stampa Italia
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