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Dopo la crisi con il Cremlino, è Zyuganov a ricucire i rapporti con Minsk
Nell'ultimo mese le tensioni tra Russia e Bielorussia avevano raggiunto livelli quasi inediti. I due "Paesi Fratelli" erano ormai ai ferri corti, e le intenzioni del Cremlino, tanto di Medvedev quanto di Putin, erano quelle di condizionare in modo decisivo l'indirizzo delle prossime elezioni politiche che si terranno nell'ex Repubblica Sovietica. Gli attacchi personali al Presidente Aleksandr Lukashenko avevano sfiorato l'incidente diplomatico, ed avevano clamorosamente portato il leader bielorusso a definire la Russia come "il peggior nemico in questa fase". Il rapporto storico, politico e, in questo frangente, anche e soprattutto strategico - in riferimento agli interessi energetici nelle tratte del gas che collegano Russia ed Europa - rischiava di rompersi e di tendere verso una nuova crisi del gas, simile a quella avuta non molto tempo fa con l'Ucraina dell'ormai neutralizzato Yushenko. Eppure, è Gennadj Zyuganov, storico leader del Partito Comunista della Federazione Russa, principale partito di opposizione del Paese, a dare una scossa alla situazione politica. Oltre ad una tendenza responsabile in politica estera, che ha in passato portato il KPRF ad appoggiare tatticamente alcune scelte internazionali dell'ex Presidenza Putin, il Partito Comunista è un sempre vivo riferimento politico e sociale per sondare gli umori della popolazione e, in un certo senso, pure dello Stato Maggiore, di alcuni Ufficiali dell'Esercito, dei Pensionati e dei Veterani. Dopo un recente e importantissimo accordo concluso a Pechino con il Partito Comunista Cinese, una delegazione del Partito, guidata proprio dal suo fiero leader, è volata, lo scorso 28 di Ottobre, a Minsk, augurando a Lukashenko una vittoria netta. Zyuganov ha affermato che quello della Bielorussia "resta un modello a garanzia di successo" dal momento che la nazione guidata da Lukashenko "non ha gruppi criminali, oligarchi, criminalità organizzata e disgregazione sociale", lanciando un'evidente frecciata a Dimitrj Medvedev, messo sotto accusa per la situazione di forte crisi interna e per la corruzione in cui versano diversi settori sociali del Paese, e ad Aleksej Miller, Presidente del gigante energetico Gazprom, vera e propria macchina strategica della Federazione, ancora oggi solo in parte statale, dopo le pesanti privatizzazioni dell'era di Boris Eltsin e del suo "clan degli oligarchi".

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