(ASI) Si discute in Argentina sull’ipotesi, avanzata dal candidato indipendente ultra atlantico Javier Milei, di fare del dollaro statunitense la monete del Paese. Ora per attuare questa idea si sta facendo strada la possibilità di utilizzare il cosiddetto “oro argentino”, una moneta realizzata nel 1881 ed ancora oggi utilizzata come strumento di investimento - segue il valore dell'oro su scala internazionale - e utilizzata, ad esempio, per calcolare il risarcimento per gli incidenti aerei e di navigazione.
Secondo alcuni esperti questa valuta, nata prima della creazione della Banca Centrale (Bcra) - può essere trasformato nella scappatoia giuridica che permette di dollarizzare l'economia senza andare contro i dettamidella Costituzione.
L'idea è stata lanciata tramiteil suo account X (ex Twitter) dall'economista Carlos Rodriguez, uno dei principali consiglieri di Milei. “Il Peso d'oro argentino ha corso legale La Bcrapubblica il suo prezzo. Attualmente è utilizzato in molti contratti per semplificare l'indicizzazione, soprattutto nelle successioni e nei contratti di spedizione. La sua emissione non dipende dalla Bcra ma dal Congresso”.
Si tratta di una valuta poco conosciuta dagli stessi argentini ma caro ai risparmiatori che preferiscono coprire i propri risparmi in metalli preziosi, è già apparso nelle discussioni tra gli esperti che cercavano soluzioni alla crisi della convertibilità, all'inizio del secolo, ovvero in seguito al fallimento che ha travolto il paese.
Ufficialmente la dollarizzazione dell'economia argentina si scontra con la Costituzione che, nel suo articolo 75, obbliga il Congresso Nazionale a emettere moneta e a “difenderla”.
Secondo gli analisti vicini a Milei faredell'oro argentino la moneta nazionale non implicherebbe nemmeno il conio di una nuova moneta unica; inoltre, questo essendo una moneta nazionale, consentirebbe di adempiere al mandato costituzionale di emettere e difendere il valore della propria moneta. Ma in realtà la moneta circolante sarebbe il dollaro, secondo la teoria di Milei.
Fabrizio Di Ernesto - Agenzia Stampa Italia