Il giorno in cui Putin prefigurò la guerra in Ucraina

(ASI) Monaco – Gli avvenimenti bellici che stanno devastando l’Ucraina e sconvolgendo gli equilibri internazionali nascondono origini assai lontane. Per capire meglio occorre fare un salto temporale di ben sedici anni.

Occorre, per la precisione, tornare nel febbraio 2007, periodo di svolgimento della Conferenza sulla sicurezza di Monaco. L'appuntamento più prestigioso in tema di sicurezza e difesa – fissato in agenda ogni anno sin dal 1962 – ospitò in quell’occasione un Vladimir Putin energico e volitivo, forte del secondo mandato presidenziale.

Il capo del Cremlino ebbe l’opportunità di pronunciare un discorso dai connotati quasi profetici. Ad ascoltarlo, una platea di altissimo livello composta – fra gli altri – dal segretario alla Difesa degli Stati Uniti, una quindicina di ministri degli Esteri, venti ministri della Difesa, ufficiali militari, imprenditori ed esperti provenienti da oltre quaranta paesi.

Un discorso dai toni insolitamente mordaci, sebbene all’epoca le aperture politiche, economiche e commerciali fra Occidente e Oriente stessero attraversando una stagione florida. Un discorso contenente una serie impressionante di parallelismi con l’attuale oratoria di Putin sulle relazioni fra la Russia e il resto del mondo. Un’orazione, insomma, che sembra pronunciata al giorno d’oggi, nel bel mezzo dei drammatici sviluppi bellici in Ucraina.

A cominciare dalla personale visione del signore di Mosca sullo stato di salute dell’ordine internazionale. Lasciandosi andare a toni piuttosto polemici, già allora dal palco di Monaco egli fece risuonare un atto di accusa nei confronti di un presunto “modello unipolare” dominato da “un unico centro di autorità, un unico centro di forza, un unico centro decisionale”. “È un mondo in cui c'è un solo padrone, un solo sovrano”, puntualizzò Putin, teorizzando un sistema in cui a vincere è sempre la legge del più forte.

Alla luce della propaganda moscovita odierna, è fin troppo facile intuire a chi si stesse riferendo. Non a caso, in un passaggio successivo si affrettò a precisare: “Le norme internazionali si avvicinano via via all'ordinamento giuridico di un solo paese. Gli Stati Uniti hanno da tempo oltrepassato i propri confini. Ciò è visibile nelle politiche economiche, politiche, culturali ed educative che impongono alle altre nazioni”.

Alla vibrante accusa alla classe governante americana – rea a suo dire di monopolizzare a proprio piacimento la scena globale – Putin affiancò il richiamo alla necessità di un cambiamento radicale. Si appellò, cioè, al multilateralismo quale efficace antidoto alle “ambizioni egemoniche” di Washington.

“Dobbiamo trovare un ragionevole equilibrio tra gli interessi di tutti i partecipanti al dialogo internazionale” sentenziò, alludendo ai rapidi tassi di crescita dei paesi oggi appartenenti al gruppo Brics. Anche in tal caso, le allusioni dell’epoca si sono riflesse in vere e proprie politiche diplomatiche messe in campo nel corso del tempo dal Cremlino per avvicinarsi alle nazioni che ora mirano a sfidare l’egemonia dell’Occidente nel resto del mondo, ivi compreso il continente africano.

A proposito di Africa, Putin non mancò già allora di screditare le cancellerie occidentali. Il presidente accusò “i ricchi” di voler strumentalizzare – a proprio vantaggio – i sussidi economici erogati alle nazioni più fragili. “Da un lato vengono stanziate risorse finanziarie per i programmi di aiuto. Ma diciamo le cose come stanno: una mano distribuisce aiuti caritatevoli e l'altra non solo preserva l'arretratezza economica, ma ne raccoglie anche i profitti”, esclamò.

Queste argomentazioni – volte a risvegliare negli Stati africani il ricordo di un infelice passato coloniale – vengono puntualmente riproposte dal Putin contemporaneo, desideroso di estendere l’influenza russa sulla sponda sud del Mediterraneo a scapito degli interessi occidentali.

Tuttavia, a Monaco il capo del Cremlino non si fermò qui. Anzi, in tempi insospettabili egli si mostrò allarmato per l’allargamento a Est della Nato. Un danno esistenziale, a suo parere, per la Russia. Rilette nel presente, quelle parole taglienti acquisiscono un alone drammaticamente profetico: “L'espansione della Nato non ha alcuna relazione con la modernizzazione dell'Alleanza o con la garanzia di sicurezza in Europa. Rappresenta, al contrario, una grave provocazione che riduce il livello di fiducia reciproca”.

Ma il punto più eclatante è forse la risposta data a un cronista nella conferenza stampa finale della Conferenza. Alla domanda sull’eventuale uso della forza militare da parte del Cremlino in futuro, Putin replicò citando l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, noto per la formulazione della controversa teoria sulla legittima difesa preventiva. L’articolo, in effetti, in caso di minaccia concreta permette il ricorso alla forza armata, purché sia immediato, temporaneo e calibrato all’entità della minaccia ricevuta da uno o più Stati membri Onu. Sono piuttosto evidenti i riferimenti alla propaganda contemporanea sulla “operazione speciale” in Ucraina.

A nemmeno un anno di distanza dall’orazione sarebbero arrivati i disordini in Georgia, la presa della Crimea e – per ultima – la guerra in Ucraina. Quel febbraio 2007 Putin sembra aver inaugurato, prima a parole e poi con i fatti, una lunga stagione di instabilità a Est.

E se è vero che è fin troppo semplice giudicare gli avvenimenti con il senno di poi, è anche vero che i leader occidentali presenti quel giorno in platea avrebbero dovuto prestare maggiore attenzione prima di affidare alla Russia di Putin la maggior parte dei rifornimenti di fonti energetiche indispensabili.

Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia

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