(ASI) San Pietroburgo – Se qualcuno nutriva dubbi sull’andamento delle relazioni bilaterali tra Federazione russa e Bielorussia, la recente visita ufficiale del presidente Aleksandar Lukashenko sembra mandare un segnale inequivocabile.
Protezione e sicurezza, aiuti economici, investimenti: intorno a questi argomenti si sono appena svolti tre giorni di colloqui formali e informali che hanno visto protagonisti il capo del Cremlino e l’irremovibile numero uno di Minsk.
Non poteva essere altrimenti, dal momento che entrambe le parti hanno oggi più che mai bisogno l’una dell’altra. Sempre più isolato a Ovest, Vladimir Putin deve tenersi stretto uno dei pochi alleati rimasti, anche perché la quasi totalità degli ex Stati sovietici ha dimostrato in modo chiaro l’intenzione di avvicinarsi politicamente e finanziariamente alle istituzioni occidentali, Unione europea in primis.
Un’alleanza strategica, dunque, di vitale importanza per il proseguimento della guerra in Ucraina. Ne è prova, solo per fare un esempio, la piena disponibilità di Minsk a ospitare sul proprio territorio nazionale le armi nucleari tattiche russe. Disponibilità che si manifesta pure nel prezioso lasciapassare concesso alle forze armate di Mosca.
Lukashenko, dal canto suo, non rimane certo a mani vuote. Isolato in Occidente e ripetutamente sottoposto a sanzioni per i sempre più evidenti connotati dittatoriali con cui governa il paese da ormai quasi trent’anni, il signore di Minsk necessita di una protezione politica e di un sostegno economico che sicuramente non può trovare a Ovest.
Non a caso, nel corso dell’incontro ufficiale del 23 luglio a San Pietroburgo, il padrone di casa ha accolto l’ospite snocciolando dati economici incoraggianti. “Vorrei sottolineare il buon andamento delle economie russa e bielorussa” ha esordito Putin, citando parametri postivi sulla crescita economica, il valore del deficit, il tasso di disoccupazione. “Tutti i principali indicatori ci danno ragione di credere che potremo affrontare quest'anno con fiducia e tranquillità” ha proseguito il capo del Cremlino, ostentando serenità e ottimismo.
Rimanendo in tema, Lukashenko ha colto la palla al balzo e ha esortato l’interlocutore ad approfondire maggiormente le relazioni bilaterali. “Due Stati, una sola Madrepatria” si è spinto ad affermare, lasciando intendere quanto – a suo parere – i destini dei due paesi siano interconnessi. E così, il presidente ha esortato Putin a presentare al più presto un “piano economico congiunto”.
In sostanza, Lukashenko non ci ha pensato due volte a chiedere nuovi aiuti economici e investimenti reciproci, sulla scia di quanto sta già avvenendo in ambito agricolo, della ricerca spaziale, della microelettronica. “Se i nostri governi elaboreranno il piano, sarà un bene. Anche se le cose dovessero peggiorare, la gente capirebbe e ci sosterrebbe, perché vedrebbe la luce alla fine del tunnel”, ha aggiunto il signore di Minsk.
Difficile non cogliere nel passaggio un velato riferimento allo sviluppo degli eventi bellici in Ucraina. A tal proposito, durante lo scambio di vedute il presidente bielorusso si è guardato bene dal qualificare come “guerra” l’aggressione di Putin, preferendo l’espressione “operazione speciale”, tanto cara al Cremlino.
Al contrario, Lukashenko non ha avuto problemi a impiegare un linguaggio battagliero quando la discussione si è spostata sugli atteggiamenti da adottare nei confronti dell’Occidente. “Siamo costretti a combattere una guerra contro l'intero blocco della Nato”, ha esclamato.
Il signore di Minsk ha alzato i toni contro l’Alleanza atlantica, accusandola di attuare una “politica sconsiderata” nell’inviare “mercenari” in Ucraina. Bersaglio principale delle invettive è stata la Polonia, rea – a suo dire – di ospitare sul proprio territorio nazionale i carri armati Leopard e i veicoli aerei inviati a Kyiv da alcuni Stati membri dell’Unione europea e dagli Stati Uniti.
Preoccupato per le posizioni acutamente anti-russe di Varsavia, Lukashenko ha imputato alla classe dirigente polacca di prestarsi al gioco della Nato solo per ricevere in cambio “denaro e armamenti”. Secondo lui, l’Alleanza atlantica avrebbe addirittura promesso – come ulteriore ricompensa – l’annessione dell’Ucraina occidentale.
È evidente quanto, dietro alle vibranti teorie complottiste sulla presunta spartizione dell’Ucraina, si nasconda in realtà la grande paura di Lukashenko per il deciso comportamento anti-russo di Varsavia.
Dopo tutto, non bisogna dimenticare che Minsk condivide con la Polonia una buona porzione di frontiera territoriale. Il gabinetto polacco si è sin dall’inizio distinto in Europa per la sua avversione all’aggressione russa e l’afflusso di armamenti sul suolo nazionale non può non mettere in stato di allerta la confinante Bielorussia.
“È inaccettabile che siamo esposti all'influenza militare dei baltici e dei polacchi da ovest e da sud. Dobbiamo difenderci”, ha avvertito Lukashenko. Il signore di Minsk ha ammonito la Nato che non se ne starà fermo a guardare e ha calorosamente ringraziato Putin per il supporto ricevuto.
Questi, pochi giorni prima della visita ufficiale, aveva dichiarato all’agenzia di stampa “Tass” che qualsiasi attacco alla Bielorussia sarebbe stato considerato un attacco alla Russia medesima e che, in conseguenza, Mosca non avrebbe esitato a rispondere “con tutti i mezzi”. Un’altra dimostrazione di quanto il Cremlino rappresenti un sodale imprescindibile per Minsk.
Non contento, Lukashenko è passato al contrattacco, lanciando a Varsavia una minaccia altisonante. Durante il colloquio con Putin, ha rivelato che i mercenari della Wagner accolti in patria avrebbero “chiesto il permesso di andare a Ovest” nell’intento di “farsi una gita a Varsavia”. La notizia ha subito fatto il giro delle agenzie internazionali, esacerbando i già tumultuosi rapporti diplomatici con l’Unione europea.
Oltre alle restrizioni dovute alla sistematica infrazione dei principi democratici e dello stato di diritto, infatti, Bruxelles ha ripetutamente sanzionato Minsk anche per il suo sostegno alla guerra in Ucraina, esortando a revocare al più presto il consenso al dispiegamento delle armi nucleari russe.
Finora Bruxelles ha colpito oltre 700 fra entità e persone fisiche bielorusse ree di “minacciare l'integrità territoriale, la sovranità e l'indipendenza dell'Ucraina”. Nella lista figurano persino funzionari statali di ogni rango. Essi non potranno ricevere fondi o sussidi comunitari, né potranno mettere piede sul territorio europeo per nessun motivo. I loro beni saranno congelati.
Nel mirino non vi sono solo singoli individui o organizzazioni: le restrizioni dell’Europa hanno un impatto consistente sulle relazioni bilaterali. Nel corso del 2022, ad esempio, Bruxelles ha escluso dal circuito di comunicazione bancaria Swift cinque istituti di credito bielorussi e ha bloccato le transazioni con la Banca centrale. Inoltre, ha limitato il commercio di una vasta serie di prodotti tra cui tabacco, bitumi, alcuni combustibili, e idrocarburi, prodotti in legno, cemento, ferro, acciaio e gomma. Sono in vigore, altresì, restrizioni alle esportazioni dall’Ue di beni tecnologicamente avanzati che “potrebbero contribuire allo sviluppo militare, tecnologico, della difesa e della sicurezza della Bielorussia”.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia