L’Europa alla ricerca di un posto nel mondo

(ASI) Strasburgo – Le pesanti conseguenze della guerra in Ucraina sull’economia internazionale. Un clima sempre più fuori controllo, imprevedibile. Gli spiccati connotati protezionistici dell’America di Joe Biden. Cos’ha da replicare Bruxelles a riguardo?

Le sfide contemporanee di un ordine globale in costante subbuglio richiedono risposte urgenti, concrete. Nonostante siano evidenti le difficoltà dei ventisette Stati membri a considerarsi fino in fondo europei e a mettere in campo politiche coerenti e unitarie, non è ancora stata pronunciata l’ultima parola. L’Unione può ancora dire e offrire molto.

Ne è pienamente convinta la presidente della Commissione europea, intervenuta lo scorso 15 marzo alla sessione plenaria dell’Europarlamento a Strasburgo. Ursula von der Leyen, reduce da un’importante visita ufficiale alla Casa Bianca, non è tornata a mani vuote.

“Abbiamo avuto un'ottima discussione. Le due economie più grandi e avanzate del mondo si stanno muovendo nella stessa direzione” ha esordito. Il riferimento è alla legge americana sulla riduzione dell'inflazione e al corrispondente piano industriale per la transizione ecologica di Bruxelles. Due normative assai simili nella volontà di realizzare con audacia la transizione a modelli produttivi sostenibili, dal diminuito impatto ambientale.

E se fino a pochi giorni fa il mal celato protezionismo dell’amministrazione Biden aveva allarmato gli imprenditori del Vecchio continente, l’incontro cordiale presso lo Studio Ovale sembra aver calmato le acque. Von der Leyen è riuscita a strappare al presidente la promessa di emendare la sua controversa legge, arrivando a conciliare le due normative e consentendo alle aziende comunitarie in affari con Washington di tirare un sospiro di sollievo.

Nello specifico le automobili elettriche fabbricate dalle case automobilistiche europee saranno di nuovo appetibili per i consumatori statunitensi, in quanto l’acquisto permetterà loro di beneficiare di preziosi sgravi fiscali, come già avviene per le vetture a stelle e strisce. Biden farà marcia indietro anche sul blocco alle materie prime essenziali per batterie di veicoli elettrici estratte o lavorate nell’Unione. Esse torneranno ad avere pieno accesso al mercato americano, rafforzando così il volume delle nostre esportazioni. Inoltre, a breve le due sponde dell’Atlantico istituiranno un tavolo permanente per negoziare insieme e con la massima trasparenza l’approvazione di futuri incentivi congiunti in favore delle tecnologie industriali ecosostenibili.

Insomma, nonostante la vicenda non fosse partita con il piede giusto, il temibile scenario di una competizione commerciale con Washington pare ora essere sfumato. Tuttavia, a livello comunitario vi è ancora molto da compiere.

Il settore dell’energia verde, infatti, è destinato a soppiantare nel breve termine l’impiego dei combustibili fossili inquinanti, divenuti abili strumenti di ricatto in mano a nazioni ostili. E gli attori globali – tutti papabili concorrenti – non stanno certo fermi a guardare. “La corsa a chi dominerà questo mercato in futuro è iniziata. Dobbiamo darci da fare se vogliamo rimanere in prima linea. Dobbiamo rinsaldare la nostra filiera industriale delle tecnologie pulite per creare posti di lavoro ben retribuiti e sviluppare fonti sostenibili di cui abbiamo urgentemente bisogno” ha sottolineato von der Leyen.

La Commissione ha proposto in merito due pacchetti normativi. La legge sull'industria a zero emissioni si prefigge di sostenere le imprese virtuose e attente alla preservazione dell’equilibrio ambientale, attraverso l’erogazione di aiuti di Stato o fondi europei, la semplificazione dell’accesso ai finanziamenti, la facilitazione della concessione di autorizzazioni, la velocizzazione di pratiche burocratiche. La legge sulle materie prime critiche, invece, mira a potenziare la transizione digitale e verde salvaguardando l’approvvigionamento comunitario di componenti essenziali. Si tratta, ad esempio, dei microscopici semiconduttori senza i quali tutti i nostri dispositivi elettronici non potrebbero funzionare ma anche di elementi utili a batterie, mulini a vento, pannelli solari. “Entro il 2030 vogliamo essere in grado di produrre in Europa almeno il 40% della tecnologia pulita di cui abbiamo bisogno” ha scandito la presidente.

Eppure, ciò non è ancora sufficiente. È indispensabile, infatti, abbattere l’annoso problema della dipendenza da fornitori esterni. La questione acquisisce connotati squisitamente geopolitici, dal momento che ad oggi Bruxelles importa la quasi totalità delle materie prime e dei minerali rari dalla Cina. “La pandemia e la guerra ci hanno insegnato un'amara lezione: se vogliamo essere indipendenti, dobbiamo urgentemente rafforzare e diversificare le nostre catene di approvvigionamento collaborando con partner che la pensano come noi” ha evidenziato von der Leyen.

In questo quadro s’inserisce la recente visita della presidente in Canada, definito “un paese affidabile”. Ottawa possiede tutte le carte in regola per diventare una pregiata alleata capace di sostituirsi alla sempre più assertiva e minacciosa Pechino. In Canada si produce nichel a basse emissioni di carbonio per batterie elettriche. In Canada si ricicla in maniera fruttuosa ed efficiente fino al 95% di litio, cobalto e nichel. Il Canada, dunque, incarna alla perfezione l’ambizione di Bruxelles per un avvenire all’avanguardia, sostenibile: “Questo è il futuro, questo è ciò a cui dobbiamo puntare qui in Europa”.

Il futuro passa anche attraverso la rivitalizzazione del mercato unico comunitario, che proprio nel 2023 compie trent’anni. La presidente ha incoraggiato i deputati presenti nell’emiciclo di Strasburgo a effettuare scelte audaci per aumentare cospicuamente la spesa in ricerca e sviluppo. L’Unione, d’altronde, può raggiungere risultati brillanti in tale campo. Dallo sviluppo in tempi record dei vaccini a mRNA contro il Covid19 ai centri di eccellenza sull’idrogeno a zero emissioni, sono innumerevoli le prove della vitalità della ricerca europea. “Ci siamo posti l'obiettivo di spendere il 3% del nostro PIL in ricerca e sviluppo entro il 2030, ma ciò non è sufficiente” ha affermato von der Leyen.

Il secondo passo in direzione di un mercato unico in salute è rappresentato dalla lotta alla burocrazia che affligge le aziende del Vecchio continente, in quanto “sono le imprese e i lavoratori europei a renderci una delle regioni economiche più attraenti al mondo”. La presidente ha spronato i deputati a migliorare “la qualità della pubblica amministrazione e del quadro giuridico” per far sì che le leggi europee sostengano le imprese invece di gravarle inutilmente.

Ha annunciato, inoltre, che d’ora in poi la Commissione adotterà nuovi criteri di valutazione a livello comunitario per “preservare e consolidare la forza e la competitività del mercato unico”. Tra gli indicatori figurano la quantità di investimenti privati erogati, la qualità delle connessioni Internet veloci, la validità dei corsi di formazione professionale. Ogni anno la Commissione riferirà all’Europarlamento sullo stato di salute e l’evoluzione di questi dati.

Mentre gli equilibri internazionali sembrano sgretolarsi con una facilità e una velocità impressionante, quella di Ursula von der Leyen è un’Europa pronta a ricoprire con determinazione il ruolo di attore globale che le spetta. Un’Europa decisa a non farsi schiacciare dall’eterna contesa fra Stati Uniti, Federazione russa, Cina.

Sebbene le buone intenzioni teoriche non manchino, la loro implementazione pratica resta tutta da vedere. Resta da vedere, cioè, in che misura i singoli Stati membri saranno capaci di giocare in squadra in nome degli interessi strategici della grande famiglia europea.  

Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia

 
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