Italia-Cina. Wang Yi a Roma, nuove polemiche politiche ma Pechino è un partner irrinunciabile

139319440 15984297640651n(ASI) Ha preso il via ieri dalla Capitale il viaggio europeo del ministro degli Esteri cinese Wang Yi. Una scelta simbolica, nel cinquantenario dell'avvio ufficiale delle relazioni tra i due Paesi, che sembra aver premiato la decisione di aderire ufficialmente all'iniziativa Belt and Road (BRI) assunta dal governo italiano a marzo dello scorso anno, nel quadro del Memorandum d'Intesa siglato in occasione della visita di Stato del presidente Xi Jinping nel nostro Paese. Anche allora, gli incontri successivi avrebbero visto il capo di Stato cinese impegnato in varie parti d'Europa, a partire da un vertice con Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Stavolta, invece, Wang è ripartito alla volta dell'Olanda, da cui si dirigerà nei prossimi giorni verso Norvegia, Germania e Francia.

Si tratta del primo tour europeo di un ministro cinese dallo scoppio dell'emergenza sanitaria globale e l'obiettivo del capo della diplomazia del Paese asiatico sarà quello di recuperare i fili della cooperazione anche per ricomporre quegli strappi che, sebbene in modo più morbido rispetto allo scontro frontale con Washington, la pandemia ha provocato nei rapporti con alcuni governi del Vecchio Continente.

A maggio, l'Unione Europea aveva presentato all'Assemblea Generale dell'OMS una risoluzione, sostenuta da un centinaio di Paesi, per rafforzare l'azione contro il nuovo agente patogeno e valutare l'efficacia nella risposta dell'agenzia sanitaria dell'ONU in quei primi mesi di emergenza. Nel testo, sostenuto anche da Pechino, non compariva alcuna accusa alla Cina né veniva messa in dubbio l'origine animale del virus. Nei due mesi precedenti, però, le singole cancellerie europee, spiazzate anche dal rapido incedere del SARS-CoV-2 nei loro Paesi, avevano insistito sulla richiesta di trasparenza relativa alla situazione epidemiologica emersa nella città di Wuhan nei giorni a cavallo tra dicembre e gennaio.

Oggi, le acque internazionali sembrano più calme. Non è un caso se Wang ha scelto proprio Roma per sottolineare che «cominciare una nuova Guerra Fredda significherebbe rovesciare il corso della storia e tenere in ostaggio il mondo intero». Il ministro cinese ha così osservato l'urgenza di ripartire dal «buon risultato raggiunto nella comune lotta alla pandemia da Covid-19», specificando che quella sanitaria «è una sfida comune che chiama in causa l'intera umanità» e fa della «cooperazione tra tutti i Paesi la giusta risposta». In particolare, Wang ha evidenziato come Pechino e Roma siano nazioni «all'avanguardia mondiale nella lotta alla pandemia da coronavirus». Il politico asiatico ha poi rilevato che l'incontro con il ministro Di Maio «mostra l'importanza che le relazioni tra i due Paesi rivestono nell'ambito della diplomazia cinese ed il grande peso che la Cina riserva ai suoi rapporti con l'Europa».

«Le parti dovrebbero ripristinare gli scambi a tutti i livelli in maniera ordinata, rafforzare i meccanismi di cooperazione intergovernativa, riavviare in breve tempo i progetti di cooperazione più importanti, formulare un nuovo piano di azione triennale per consolidare la cooperazione pragmatica e promuovere lo sviluppo complessivo delle relazioni bilaterali», ha incalzato Wang Yi, con particolare riferimento proprio al capitolo relativo alla Nuova Via della Seta, richiamando la necessità di «accelerare la ripartenza del lavoro e della produzione, organizzare la conferenza imprenditoriale Italia-Cina sulla BRI prevista per il prossimo anno e promuovere la costruzione congiunta della stessa BRI per raggiungere risultati più concreti».

Da parte sua, Di Maio ha concordato con l'omologo cinese in merito all'urgenza di sostenere congiuntamente il multilateralismo e la liberalizzazione del commercio, salvaguardare la sicurezza delle catene industriali e logistiche globali, nonché contribuire a promuovere la cooperazione globale anti-pandemica e la ripresa economica. Il ministro italiano, dopo aver ricordato l'importanza e l'indispensabilità di Pechino quale partner per l'Italia a livello globale, ha ribadito l'adesione del nostro Paese al principio di Una sola Cina, cardine delle relazioni internazionali per la nazione asiatica, come sancito dalla comunità internazionale sin dal 1971, ed il rispetto del modello Un Paese, due sistemi in vigore a Hong Kong. Il ministro ha tenuto tuttavia a precisare che la cooperazione italo-cinese avverrà sempre in coerenza con il quadro di alleanze che caratterizza la collocazione geopolitica dell'Italia, ovvero l'UE e la NATO.

Proprio qui risiedono, tuttavia, i principali ostacoli che finora hanno impedito quel salto di qualità nella cooperazione bilaterale richiesto, tra le righe, da Wang a Di Maio: dalla BRI al 5G, passando per altre tipologie di investimenti. Il Memorandum firmato un anno e mezzo fa fece molto discutere, suscitando malumori soprattutto nel Partito Democratico, allora all'opposizione, ma anche all'interno della Lega, che pure era forza di governo insieme al Movimento Cinque Stelle. In realtà, Matteo Salvini aveva inizialmente proposto come presidente del Consiglio uno dei principali promotori di quell'accordo, il Prof. Michele Geraci, poi divenuto sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico, sotto la guida dello stesso Luigi Di Maio [Cfr. A. Spalletta, Chi è Michele Geraci, l'economista proposto da Salvini come premier, Agi, 14/5/2018]. Il leader leghista, per altro, decise anche di avvalersi delle competenze di Stefano Beltrame, ex console italiano a Shanghai, in qualità di suo consigliere diplomatico al Viminale.

Le ritrosie di una parte della Lega, probabilmente della "vecchia guardia" legata a Giancarlo Giorgetti, la caduta del governo giallo-verde e l'inizio della pandemia hanno cambiato molte cose, ribaltando le prospettive delle principali forze politiche italiane. Sebbene con qualche eccezione, il centrodestra, ricompattatosi anche a livello nazionale, è oggi indubbiamente l'area più ostile al Paese asiatico, come attestano dichiarazioni e comunicati ufficiali. O, almeno, così è adesso che queste forze sono all'opposizione, costrette a rincorrere un sempre più liquido "comune sentire" per intercettare quanto più consenso possibile. Il Partito Democratico, invece, specie con alcuni suoi esponenti particolarmente legati ad una rigida visione atlantista, sembra quasi giocare un ruolo di "guardiano" dello status quo, tenendo d'occhio quella parte del Movimento Cinque Stelle più favorevole alle aperture verso Pechino.

Oltre la propaganda e le ideologie, però, è evidente che la Cina, maggior mercato di produzione e consumo al mondo, resta un interlocutore irrinunciabile non solo per l'Italia, che mira a rilanciare l'export e potenziare la sua portualità nel Mediterraneo, ma anche per qualsiasi altro Paese, compresi gli Stati Uniti che, nonostante le bordate di Donald Trump e Mike Pompeo, stanno beneficiando di un forte aumento dell'export di beni e servizi verso il Paese asiatico, in conseguenza degli accordi stabiliti nella Fase 1 dei nuovi negoziati lo scorso gennaio, poco prima che l'emergenza Covid-19 si trasformasse in pandemia.

 

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

 

 

 
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