(ASI) Il Presidente Usa Donald Trump e il Leader cinese Xi Jinping si sono parlati via telefono; tra la situazione sanitaria cinese e la congiuntura politica interna USA si può dire che di questi tempi, dietro alla facciata di propositi cooperazione e auguri reciproci, poche telefonate negli ultimi tempi abbiano altrettanto focalizzato l'attenzione di analisti e commentatori.
Apparentemente Trump e Xi si sono scambiati "segnali positivi" sulle agende sino-americane; gli Usa hanno lodato gli sforzi cinesi per controllare il Coronavirus e i due Paesi hanno riaffermato gli impegni di implementazione della Fase Uno dell'accordo commerciale raggiunto il mese scorso. T
uttavia esiste la possibilità che l'amministrazione di Washington, ritenendo la controparte 'significativamente indebolita' dall'attuale emergenza sanitaria e sentendosi euforizzata dalla "combo" -assoluzione dall'impeachment/estrema debolezza del partito rivale-, possa decidere di rafforzare le proprie posizioni anti-cinesi, anche a costo di conseguenze negative sul piano economico. I segnali in tal senso, purtroppo, ci sono già: Pete Navarro, consulente della Casa Bianca per le politiche commerciali, noto per la propria ostilità alla Cina, ha già lanciato "moniti" al Presidente Trump per scoraggiarlo dall'abrogare i dazi imposti verso l'import da Pechino, una mossa che invece altri osservatori ritengono essenziale per confermare la serietà nell'applicazione dell'accordo commerciale di gennaio 2020.
Altro segnale, le 4500 aziende Usa che, nonostante mesi e mesi di spasmodica ricerca, non sono riuscite a trovare alternative praticabili o convenienti alla delocalizzazione in Cina o all'acquisto di componentistica cinese per le proprie produzioni e, conseguentemente, hanno fatto domanda alle autorità governative di esenzione dai dazi. Purtroppo per loro (e soprattutto per i loro dipendenti) Trump e i suoi hanno già annunciato che la maggior parte di tali domande sarà respinta. Il che, a pochi giorni da un discorso sullo Stato dell'Unione in cui il Presidente si é fatto forte di una serie di dati positivi in economia che (pur con qualche semplificazione ed esagerazione) non avevano uguali da decenni, può sembrare altamente contro-intuitivo.
Ma bisogna sempre ricordare che Trump ragiona in base alle convenienze e alle opportunità elettorali in vista delle presidenziali di novembre, e che, se il "buongiorno si vede dal mattino", il Partito Democratico molto difficilmente riuscirà a proporre un candidato 'forte' da opporre al POTUS in carica. Le primarie in Iowa si sono risolte in una cupa farsa con le "app" che avrebbero dovuto gestire il voto andate a gambe all'aria e i risultati finali arrivati con giorni di ritardo, con il totale naufragio di Joe Biden (già ex-Vice di Obama) e il sostanziale pareggio tra Bernie Sanders ('bestia nera' dei Democratici centristi) e il pressoché sconosciuto Buttgieg.
Sul campo Dem continua ad aleggiare lo spettro dell'Ex-sindaco di NY Bloomberg, che con la sua rete di contatti e finanziatori costruita nel corso della sua carriera da imprenditore e da Primo Cittadino della Grande Mela potrebbe, forse, strappare una candidatura e rappresentare una minaccia credibile allo strapotere trumpista. Strapotere che il biondo immobiliarista divenuto Presidente ora non sente affatto in pericolo, giacché sembra disposto ad accettare le conseguenze economiche negative di un irrigidimento nei confronti della Cina nella quasi certezza che non le "pagherà" elettoralmente il prossimo novembre, sperando così di indebolire ulteriormente il 'competitor' globale.
Il punto é: "Ma la Cina, sarebbe così tanto danneggiata da mosse ostili da parte degli Usa?". Ovviamente l'epidemia di Coronavirus avrà delle conseguenze negative, questo nessuno lo contesta, eppure, anche nell'Occhio del Ciclone i fondamentali economici cinesi non stanno precipitando: dal 3 febbraio a martedì scorso lo Shanghai Composite Index é cresciuto del 5,6 per cento, più degli indici 'rivali' euro-americani (lo Standard & Poor's 500 solo del 3,2, l'Euro Stoxx 50 appena del 2,3). Inoltre non é affatto detto che atti ostili verso la Cina, pur danneggiandola, non abbiano conseguenze quasi altrettanto gravi sul resto del mondo; bisogna sempre ricordare che ormai il contributo di Pechino all'economia mondiale é oltre un quinto del totale (nel corso dell'epidemia di SARS del 2003 era meno del 4 per cento). Tuttavia esiste la concreta possibilità che il "rush estatico" dei recenti successi (Discorso sullo Stato dell'Unione trasformato in una parata trionfale di Trump, assoluzione dall'impeachment, debolezza generalizzata del campo Dem), coniugandosi con una imperfetta valutazione dell'impatto dell'epidemia sul "Sistema Cina" spinga gli Usa a prendere decisioni in ultimo nocive (anche) per loro stessi.
E non solo per loro. Da Europei, dovremmo interrogarci quali conseguenze potrebbero avere per i nostri Paesi e le relative economie le continue interferenze americane: solo per quanto riguarda il caso "Huawei/5G" è opportuno ricordare che il colosso delle telecomunicazioni cinese dà lavoro a circa 170.000 cittadini UE, contribuisce alle economie europee per 13 miliardi di euro e ne paga circa 6 in tasse. Attualmente il Consiglio Economico Nazionale della Casa Bianca e il Consiglio degli 'Adviser' Economici dell'Amministrazione Usa stiano esaminando congiuntamente la questione, valutando gli effetti a breve e lungo termine di varie linee di condotta verso Pechino. Sarebbe da sperare che, per evitare 'scossoni' improvvisi all'economia globale e 'salti nel buio' dalle conseguenze imponderabili, da tale conclave emergano vincitori pareri moderati.
Paolo Marcenaro per Agenzia Stampa Italia