(ASI) Barcellona- Lo aveva detto in questi giorni al Financial Times l’ex presidente della Generalitat Artur Más: «Attenta Catalogna, non siamo ancora pronti», vedendo le reazioni dei mercati e delle banche. L’indignazione per le violenze, la paura dell’incerto. Mentre Madrid chiede scusa per l’intervento della polizia nei seggi elettorali, a Barcellona in piazza Saint Jaume si manifesta per chiedere il dialogo. Trovare un accordo con il governo spagnolo è ora la priorità per prevenire l’ignoto.

Di fronte a una possibile Dui (dichiarazione unilaterale di indipendenza) da parte della Catalogna, le banche Sabadell e Caixa avevano già annunciato lo spostamento delle sedi legali per non perdere i finanziamenti europei. Allo stesso modo la borsa spagnola era in netto calo e anche imprese come Agbar (che controlla i servizi idrici a Barcellona), la tessile Dogi e il colosso Gas Natural Fenosa stavano meditando un trasferimento.
Da qui il passo indietro, anche dei più fervidi indipendentisti. È necessario tempo per capire come muoversi e i più saggi promotori della secessione hanno intuito che non si può vincere questa battaglia senza che Madrid riconosca in qualche modo l’autodeterminazione catalana. Si può essere la regione più ricca, ma non si possono preventivare i rischi dell’abbandono di un sistema globalizzato e integrato. Come la politica condiziona l’economia, così la seconda condiziona la prima.
Rajoy ha ribadito di voler impedire l’indipendenza, Pedro Sanchez e i socialisti sono pronti a sostenere il rivale politico dei populares. Ora la Generalitat ci sta pensando. Mantenere fede al voto è fondamentale, ma a Barcellona vogliono riflettere meglio su come gestire questa fase di transizione. L’esodo delle grandi compagnie è come se avesse destato i catalani dal loro sogno, portandoli ai dovuti conti con la realtà. Se il business scappa, la gente protesta anche per quello, per non ritrovarsi in una crisi peggiore della prima.
Nessuno conosce gli scenari che potrebbero aprirsi e anche il silenzio dell’Europa è dovuto all’impossibilità di prendere parte a un discorso “costituzionale”, interno alle leggi nazionali spagnole. Di certo c’è solo la reazione dell’economia, non solo finanziaria ma anche reale. Fra imprese e società bancarie l’obiettivo è sempre lo stesso: evitare di restare fuori dall’Eurozona. Questo comporta non solo il supporto della Banca Centrale Europea, ma anche la tutela dei risparmiatori, ovviamente moltissimi catalani. Con lo spostamento della sede legale non ci sarà alcuna interruzione di attività degli sportelli, dei bancomat e non si può nemmeno ipotizzare una situazione di scarsa liquidità nella regione.
Il dilemma degli indipendentisti è un altro però: siccome Spagna ed Europa non riconoscono la Catalogna indipendente, a dispetto di tutte le rivoluzioni preannunciate, di fatto non cambierebbe nulla. Quindi paradossalmente anche le conseguenze negative per la regione non si verificherebbero. I finanziamenti non saranno condizionati, il rapporto con l’Eurozona nemmeno. Il mancato riconoscimento sarebbe un “nulla di fatto”. Ma dietro gli aspetti legali, il quadro politico e la paura che stanno mostrando i mercati a livello di prospettiva futura, suggeriscono ai catalani di rallentare o quantomeno riflettere un attimo sulle loro prossime mosse. Di autoreti in politica ultimamente se ne sono viste anche troppe. Nessun catalano vuole fare dei propri sogni una “Brexit”.
Lorenzo Nicolao – Agenzia Stampa Italia

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