(ASI) Luiz Inácio Lula da Silva, già presidente del Brasile dal 2003 al 2011 è pronto a candidarsi alle presidenziali del 2018. È stato lo stesso politico di Caetes a ventilare questa possibilità dichiarando che una sua eventuale nuova discesa in campo “rende i suoi avversari molto nervosi”.
Lula ha spiegato che i brasiliani rimpiangono lo sua presidenza, specie dopo il recente colpo di stato che ha tolto la presidenza alla sua pupilla Dilma Russeff.
Recenti sondaggi vedono una candidatura di Lula nettamente vincente su tutte le altre anche se questa non è ancora stata ufficializzata.
“I miei avversari – ha sottolineato – sono molto nervosi. Sono tre anni che mi attaccano eppure continuo ad essere in testa in tutti i sondaggi”. In merito poi alle accuse di corruzione mossegli dai suoi avversari non solo ha ribadito al sua innocenza e la sua estraneità ai fatti sottolineando “per essere imprigionati bisogna aver commesso un qualche reato e la giustizia deve avere le prove adeguate per condannarlo”.
Quando Lula nel 2002 vinse le elezioni presidenziali c’erano grandi attese intorno al suo nome anche se ben pochi potevano affermare di conoscerlo e soprattutto di poter anticipare le sue mosse.
Uno in particolare era l’interrogativo che assaliva i brasiliani e la gran parte degli osservatori internazionali: il nuovo presidente sarebbe stato il Mandela brasiliano o il novello Allende di un cupo futuro sudamericano?
Di umili origini, nonostante ciò lui ex lustrascarpe, figlio di uno scaricatore di sacchi di caffè, alfabetizzato solo a dieci anni e con un dito mozzato sotto la pressa di un’acciaieria è diventato l’uomo più importante di una delle maggiori potenze economiche mondiali.
Durante la campagna elettorale per la sua prima elezioni i suoi detrattori puntavano l’indice sulla sua inesperienza dal momento che non aveva mai amministrato neppure un paesino dell’arido “serto”. Lui però non si scomponeva minimamente e replicava molto semplicemente: “qual era l’esperienza di Mandela dopo 27 anni di prigione? Eppure non appena è uscito è stato eletto presidente e si è trasformato nel maggior statista della storia sudafricana. E sapete perché? Perché il problema del governo non è amministrativo, trovi sempre amministratori della più alta competenza. Il problema è eminentemente politico: il Brasile ha bisogno di un dirigente”.
I grandi investitori internazionali, quelli atlantici in primis, alla vigilia dell’elezione di Lula erano molto critici e spaventati considerandolo nulla più che un semplice “spauracchio neoliberista” tanto che per contrastarlo avevano perfino creato un “lulometro” per innalzare il rischio Brasile di pari passo con la sua ascesa nei sondaggi pre-elettorali.
Le aspettative che hanno accompagnato la sua ascesa sono state molte, quasi quante le sue promesse elettorali. Lula aveva chiesto il voto ai brasiliani annunciando una crociata contro la piaga della fame, passaggio epocale dal neoliberismo delle privatizzazioni verso un modello economico basato sulla produzione nazionale, una progressiva riduzione del tasso d’interesse, che all’epoca risultava essere il più alto del mondo; istruzione, assistenza sanitaria e previdenza sociale per tutti i cittadini, realizzazione della riforma agraria e rilancio del progetto del Mercosur in contrapposizione al progetto statunitense dell’Alca, anche perché nel primo il Brasile può esercitare una pesante influenza.
Una volta eletto Lula riuscì lentamente a dare seguito alle sue promesse, giovandosi anche dei risultati che il pesante Piano Real varato nel 1994 e che, tra le altre cose, introduceva la nuova moneta, il Real appunto, al posto dello svalutatissimo Cruzeiro, stava permettendo di raggiungerne anche se per il momento i risultati avevano avvantaggiato soprattutto gli speculatori ed i grandi investitori, nonostante qualche piccolo vantaggio ottenuto anche dai comuni cittadini.
In soli dieci anni i risultati ottenuti erano stati sorprendenti, tanto che nel 2004 l’inflazione, che Lula aveva promesso di abbassare al 6,4%, era già scesa al 4,5%. Il Paese inoltre riusciva senza problemi a pagare puntualmente, se non addirittura in anticipo, il proprio debito estero e dopo un solo anno di cura Lula l’economia brasiliana registrava un’eccedenza della bilancia commerciale di quasi 20 miliardi di dollari, un bilancio positivo per il quarto anno consecutivo, che aveva permesso al Pil di cresce di oltre quattro punti percentuali. Numeri che avevano consentito a Lula di far diminuire in due anni di oltre il 10% il numero di coloro ancora costretti a vivere sotto la soglia della miseria.
A far da traino all’economia brasiliana soprattutto le esportazioni che sotto Lula hanno conosciuto un vero e proprio boom grazie principalmente al Bndes, la principale banca di sviluppo locale.
In appena 24 mesi, di cui più della metà vissuti in stagnazione e sfruttati da Lula per tranquillizzare i mercati internazionali con una gestione economica e finanziaria al limite del conservatorismo, e del tutto ossequiante ai dettami del Fondo Monetario Internazionale, l’export era aumentato del 55%; un risultato ottenuto grazie al boom dell’agrobusiness con il Paese al vertice per quanto riguarda la soia, il granturco, le arance ed il caffè, solo per citare i prodotti più reclamizzati.
Uno dei grandi successi politici di Lula è stato sicuramente quello di aver spalancato al suo paese le porte del mondo arabo. Nel 2003 ha infatti realizzato un imponente tour tra Siria, Libano, Emirati arabi uniti, Egitto e Libia in cui ha intrecciato proficue relazioni commerciali rafforzate due anni più tardi in un summit tenutosi a Brasilia che ha visto come protagonisti i paesi dell’America latina e quelli della Lega araba; nell’occasione venne firmato un accordo quadro di cooperazione economica tra il Mercosur ed il Ccg, il consiglio di cooperazione del golfo.
In una successiva riunione tenutasi pochi mesi più tardi a ar-Riyad vennero successivamente approvati i termini di riferimento di un accordo di libero scambio sempre tra i due organismi.
Grazie a Lula è inoltre aumentata l’influenza brasiliana in Africa, durante il suo primo mandato infatti non solo hanno iniziato a proliferare ambasciate e consolati carioca nel Continente nero ma lui stesso ha più volte visitato quei paesi.
Alla scadenza del secondo mandato ha lasciato alla sua pupilla Dilma Rousseff un Paese migliore di quello che aveva trovato, con il tasso di disoccupazione sceso al 7%, miglioramenti sono stati registrati anche nel tasso di alfabetizzazione ormai vicina al 90%, dove la vita media si è allungata durante il suo mandato di ben 10 anni, e con un tasso di mortalità infantile calato di ben 20 punti percentuali.
Fabrizio Di Ernesto - Agenzia Stampa Italia