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Deficit democratico dell’Unione Europea
(ASI)In linea teorica, per deficit democratico si intende: da un lato il mancato o insufficiente coinvolgimento dei cittadini nella formazione degli organi che detengono il potere legislativo, dall’altro l’insufficiente livello di responsabilità politica di organi che prendono decisioni esecutive che riguardano direttamente i cittadini. Relativamente all’Unione Europea la questione del deficit democratico ,dal punto di vista giuridico, si riflette su alcune tematiche principali: la separazione dei poteri tra gli organi comunitari e le relative funzioni; i sistemi elettorali delle istituzioni comunitarie; il controllo politico sull’integrazione economica europea;  la tutela dei diritti umani. Con la sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 30 giugno 2009 ( che ha costretto il Bundestag a riscrivere la legge di ratifica del Trattato di Lisbona in senso più restrittivo per quanto concerne il trasferimento di nuovi poteri dell’Ue)  si è parlato esplicitamente e giuridicamente di deficit democratico . Le radici di questa problematica affondano in parte nella mancanza di un equilibrio tra le istituzioni europee ma soprattutto nei metodi di integrazione seguiti per oltre mezzo secolo che hanno caratterizzato il metodo Monnet e che hanno prodotto un’unione monetaria senza unione politica, una scarsa trasparenza nei processi decisionali e un grande squilibrio tra l’ampiezza dei compiti affidati alla Ue e la limitatezza delle sue risorse

La questione del deficit emerge anche dal processo di rafforzamento degli esecutivi nazionali nei confronti dei parlamenti nazionali. La possibilità degli esecutivi nazionali di sedere stabilmente in due istituzioni comunitarie cardine come il Consiglio europeo e il Consiglio dei ministri dell’Unione Europea, e di produrre un diritto vincolante e direttamente applicabile nei confronti degli Stati membri, avrebbe depotenziato i parlamenti nazionali (rappresentanti degli interessi diffusi).

Uno degli aspetti principali della questione è riferito alla mancanza nell’Ue di un principio cardine dello stato di diritto: la separazione dei poteri.  L’Ue alla stregua di ogni altra organizzazione internazionale, non è affatto strutturata secondo il principio della separazione dei poteri, come espressamente riconosciuto dalla Corte di Giustizia (sentenza del 6 luglio 1982, cause riunite 188-190/80, Francia, Italia e Regno Unito c. Commissione).

Vi sono molti elementi che provano la mancanza di democrazia all’interno di questa organizzazione internazionale, che tanto incide sulla nostra vita quotidiana. Proverò a indicarne i principali. Per quanto riguarda il Parlamento Europeo (che esercita la funzione legislativa , di bilancio e di controllo), i suoi membri sono eletti a suffragio universale, diretto, libero e segreto (MA NON UGUALE). La procedura elettorale resta diversa da Stato a Stato, di conseguenza la decadenza di un parlamentare europeo può avvenire per effetto delle disposizioni nazionali, senza che il PE possa pronunciarsi in proposito.  Inoltre il TUE ( Trattato sull’Unione Europea) stabilisce che “la rappresentanza dei cittadini è garantita in modo degressivamente proporzionale”, quindi  il peso del voto che ciascun cittadino dell’UE ha relativamente all’elezione del PE è diseguale.

Il PE nonostante l’elezione diretta a partire dal 1979, è caratterizzato ancora oggi da un grave deficit democratico che si riscontra nel suo coinvolgimento alle decisioni del Consiglio adottate secondo una procedura legislativa speciale, che può consistere nella semplice consultazione dello stesso o nella necessità della sua approvazione dell’atto. In molte materie che incidono direttamente sui diritti individuali (cittadinanza europea, diritto di famiglia, politica sociale ecc) il suo ruolo è rimasto consultivo, in altre non è prevista alcuna forma di partecipazione del PE al processo legislativo, per esempio in tema di gravi difficoltà economiche, di imposte dirette, di indirizzi di massima per politiche economiche. Un altro organo cardine dell’Ue è il Consiglio, che esercita congiuntamente al PE la funzione legislativa e di bilancio. L’essenza della questione del deficit risiede in gran parte nell’attribuzione di una funzione legislativa ad un organo che rappresenta gli esecutivi degli Stati Membri, organo per di più sottratto ad un controllo effettivo da parte dei cittadini europei rappresentati nel PE. Quest’ultimo non è coinvolto nella nomina del Presidente del Consiglio e delle sue formazioni.

Poi vi è il Consiglio Europeo che ha il compito di dare all’Ue “gli impulsi necessari al suo sviluppo” e di definire “gli orientamenti e le priorità politiche generali”. Anche qui il PE è escluso dalla nomina o sostituzione del Presidente del consiglio europeo, determinando la mancanza della partecipazione popolare alla definizione dell’indirizzo politico. Un’altra componente dell’assetto istituzionale europeo è la Commissione, che detiene un forte potere di iniziativa legislativa e inoltre è un organo esecutivo e di controllo. E’ composta da 27 commissari (uno per Stato) scelti tra personalità di spicco dello stato membro di appartenenza. Il  PE partecipa solo parzialmente alla scelta del Presidente della Commissione, mentre non è coinvolto nella nomina del Vicepresidente (il quale ha un ruolo fondamentale nell’elaborazione della politica estera e di sicurezza comune dell’UE).

Dalla disamina delle funzioni e delle relazioni tra i principali organi comunitari emerge il problema della responsabilità politica, poiché la pluralità dei centri decisionali e la sovrapposizione delle loro competenze e funzioni rende difficile al cittadino l’individuazione di un referente politico, cui attribuire la responsabilità di “governo” e su cui attraverso il PE si possa esercitare un efficace controllo democratico. L’unica, relativamente importante, arma a disposizione dei cittadini consiste nell’iniziativa popolare, che gli consente – nel rispetto di certi requisiti- di richiedere alla Commissione europea di presentare una proposta di atto giuridico dell’Unione. Il Problema è che la Commissione decide quale procedura seguire, quale tipologia di atto proporre (regolamento, direttiva o decisione) e SE proporlo.

A riprova della sfiducia dei cittadini rispetto queste istituzioni, considerate “aliene”  a quelle statali, sta il calo continuo dell’affluenza media alle urne per l’elezione del PE: dal 63% del 1979 siamo passati al 43% del 2009.

Insomma molte delle decisioni che incidono sulla nostra vita vengono prese in piccoli salotti, che sono stati legittimati solo indirettamente tramite la ratifica di Trattati ,che sono privi di controllo politico da parte dei cittadini e verso i quali manca un senso comune di appartenenza.

Guèhenno affermò che “non sono le istituzioni che creano un senso di appartenenza, ma è il senso di appartenenza che rende accettabili i vincoli”.

Gabriele Toccaceli per Agenzia Stampa Italia

 

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