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(ASI)- Nella domenica del 10 novembre scorso a Teheran il numero due del Ministero dell'Industria dell'Iran, Safdar Rahmat Abadi, è stato assassinato nella sua auto da due colpi di pistola alla testa e al petto.

La polizia ha rilevato come i colpi d'arma da fuoco siano partiti all'interno dell'auto proprio mentre in contemporanea a Ginevra si svolgevano i negoziati sul nucleare iraniano.

Se Abadi, già funzionario con Ahmadinejad, nel corso della sua carriera non ha raggiunto le vette della notorietà internazionale, la scia di morte che sta coinvolgendo da cinque anni alcuni tra gli esponenti dell'area economica correlata al nucleare è ben nota.

Tra il 2007 e il 2012 cinque scienziati nucleari iraniani hanno perso la vita in attentati terroristici.

Ad essi vanno aggiunti alcuni omicidi del breve periodo nella cronaca iraniana, come il giudice ucciso da milizie islamiste al confine tra Afghanistan e Pakistan, e l'omicidio di un membro della Guardia della Rivoluzione.

Se negli ultimi dieci anni un soggetto internazionale ha avuto motivo di attentare al programma industriale iraniano, quel soggetto è certamente lo Stato di Israele.

Israele non ha mai ammesso la sua partecipazione ad una guerra di intelligence, ma il suo ruolo da manovratore del petrolio nel Medio Oriente sarebbe minacciato se l'economia iraniana venisse liberata dagli ostacoli delle sanzioni internazionali, un sollievo che si prospetta ora a Ginevra.

In parallelo alla guerra cosiddetta “segreta” sul suolo iraniano, si muove anche la macchina della diplomazia internazionale.

Il 10 novembre a Ginevra la riunione fra Iran e i 5+1 (Cina, Francia, Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Germania) sulla questione del nucleare ufficialmente non ha prodotto alcun risultato utile.

Ma ufficiosamente la perdita di potere che ha colpito gli Stati Uniti culminata nella disfatta sulla Siria, ha reso Israele molto vulnerabile su chi rappresenti al meglio le sue istanze in seduta.

Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha definito il quadro dipinto da Israele sul pericolo del nucleare iraniano come “esagerato, non basato sulla realtà”.

Gli Stati Uniti, coerentemente con gli esiti finanziari del dollaro, sono infatti in fase di defilazione dalla linea imperialistica di guerra iniziata in Afghanistan, e non riescono più a permettersi posizioni di prepotenza.

Israele aveva infatti prospettato come lo stop temporaneo delle sanzioni internazionali contro l'Iran si sarebbe tradotto in 40 miliardi di dollari in più nelle casse di Teheran.

John Kerry, segretario di Stato degli Stati Uniti, ha rimarcato come nessun accordo sia stato raggiunto, tentando un riavvicinamento con l'adirato Presidente israeliano Benjamin Netanyahu.

La stampa israeliana ha molto sottolineato l'attuale divisione diplomatica con l'alleato statunitense, con il quale lo stato israeliano condivide un'area di libero scambio economica.

Lo stato di Israele dunque in sede internazionale si è ritrovato privo di un forte portavoce, sensibile alla questione del nucleare.

Decaduti gli Stati Uniti, la scelta di Israele fra i cinque più uno è caduta sulla Francia, da sempre al fianco dello stato ebraico nelle scelte e nei crimini di guerra.

Laurent Fabius, ministro degli esteri della Francia, ha provveduto così a guastare l'atmosfera propositiva di Ginevra,  corroborata dalla presenza del presidente iraniano Rohani assai più accettato in ambiente internazionale del precedente Mahmoud Ahmadinejad.

Il capo della diplomazia iraniana Mohammad Javad Zarif ha dichiarato sull'ambiente di Ginevra: "Lavoriamo insieme e fortunatamente saremo in grado di giungere a un accordo quando ci incontreremo di nuovo".

Ma Fabius ha poi messo fine alle trattative a causa delle “preoccupazioni di Israele” a riguardo.

Se con la via diplomatica bisognerà ora attendere il 20 novembre, nuova data della riunione ginevrina, la via pragmatica di Israele resterà un punto interrogativo dal karma pesante.

Maria Giovanna Lanotte - Agenzia Stampa Italia

 

 

 

 

 

 

 







 

 

 

 

 

 

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