Il lavoro è un valore per ogni essere umano, in quanto determina il suo reale ed indiscutibile inserimento sociale. Il disoccupato, infatti, resta ai margini della vita sociale. Ciò sfugge a quanti nella Pubblica Amministrazione ricorrono ad ogni tipo di escamotage per lavorare poco o niente, proprio in quanto certi di essere comunque retribuiti alla stessa stregua di chi adempie il proprio dovere lavorativo con onestà.
Nel settore privato non vi è dubbio che tale fenomeno non si riscontra o se mai dovesse verificarsi viene arginato con provvedimenti ben precisi.
Non lavorare nei termini previsti dal contratto di lavoro rappresenta, difatti, una trasgressione molto grave, punita con il licenziamento.
Così dovrebbe essere anche nel settore pubblico, che, proprio in quanto espressione dello Stato italiano, dovrebbe essere testimonianza del valore del lavoro, nonché dell'adempimento dei doveri ad esso connessi. I furbetti del cartellino non sanno che la vita morale e la vita lavorativa sono strettamente correlati e che non vi è lavoro se non vi è adempimento delle regole etiche che lo definiscono. Essi non sanno che se si percorre il corso della storia si osserva che le conquiste dei diritti del lavoratore sono frutto di dure battaglie che hanno visto il sacrificio di uomini e donne di alto spessore morale ed umanitario.
I furbetti del cartellino offendono la memoria di chi ha permesso che vi fosse un lavoro equamente retribuito e non schiavizzante.
Nel Sud Italia si riscontra il più alto tasso di coloro che non timbrano il cartellino personalmente, ma delegano ad altri tale compito. Dove sono realmente questi lavoratori? Non certamente sul posto di lavoro, ma altrove. Essi percepiscono ugualmente la retribuzione pur essendo assenti. Tale grave problematica vede partecipi più soggetti: coloro che delegano ad altri la timbratura del proprio cartellino, coloro che timbrano il cartellino di persone assenti e coloro che amministrano tali lavoratori. Desidero sottolineare che, in quanto meridionale ed anche meridionalista, nutro un profondo rammarico in merito. E' ben noto a tutti che nel Sud Italia sono poche le realtà lavorative e le persone che lavoravano possono essere considerate privilegiate.
La maggior parte dei lavoratori del Sud Italia presta la propria attività lavorativa nella Pubblica Amministrazione, le cui sedi lavorative percorrono in lungo ed in largo l'intera penisola italiana.
Accedere nell'organico lavorativo della Pubblica Amministrazione può essere considerata un'impresa facile: non è così.
Difatti, è vero che vi siano vincitori di concorso altamente qualificati e scolarizzati, ma è anche vero che vi è stata la via facile all'accesso da parte di molti .
La Pubblica Amministrazione ha assorbito molta manodopera per via di numerose leggi dello Stato che destinavano una quota delle assunzioni alle fasce deboli, alle Regioni più povere, per sanare la depressione economica e sociale di alcune città, i cui ghetti dovevano essere risanati.
E' vero anche che raccomandazioni e facilitazioni siano stati profusi per il fenomeno politico dei cosiddetti "voti di scambio".
C'è da chiedersi , pertanto, quale cultura del lavoro abbia animato ed animi coloro che sono stati i destinatari di tali prerogative giuridiche e politiche.
L'assenteismo e le furberie varie hanno una loro giustificazione che - ahimè - scaturisce da alcuni atteggiamenti erronei della vita politica.
E che dire , poi, dell'aiuto del "padrino" di turno?
Quale filosofia della vita lavorativa può esserne scaturita?
La risposta la danno proprio i cosiddetti "furbetti del cartellino".
Biagio Maimone