(ASI) Milano - Cercando di cogliere, nel prolisso rapporto “La Buona Scuola”, quale sia il progetto di scuola vagheggiato dal Governo Renzi, e cioè quali ne siano i contenuti pedagogici e culturali, si resta sconcertati nel rilevare lo scarso spazio dedicato, sotto l’ambizioso titolo “Ripensare ciò che si impara a scuola”.

A questo aspetto (per di più riservato a tematiche che risultano ridicolmente irrilevanti), pur in un documento di tale mole: eppure dovrebbe trattarsi degli elementi fondanti, cui ogni altra questione è subordinata! Ciò conferma, se ce ne fosse bisogno, l’ipotesi formulata in un precedente comunicato dell’AESPI, che il testo governativo non sia altro che “una vasta e variopinta pezza a colori utile demagogicamente a coprire un’esigenza meramente finanziaria, cioè ad impedire il danno che deriverebbe dalle sanzioni “europee””.
In sostanza, sotto l’etichetta della “Buona Scuola” non viene fornita alcuna indicazione su quale sia la visione del mondo, della società, della cultura, dell’istituzione scolastica, dell’educazione, che l’ispirano. Non si può trattare la scuola come luogo qualunque e merce qualsiasi: occorre una nitida idea di che cosa debba essere una scuola; non si può trattare la scuola come un’ azienda dove si producono beni materiali: la scuola, infatti, è un’istituzione che si inserisce nella fondamentale relazione dell’essere umano con la verità, cioè ha per fine l’aspetto dell’educazione relativo alla naturale aspirazione alla conoscenza, ciò che viene anche definito “istruzione educativa”. Questa si realizza con la trasmissione di conoscenze e abilità, nell’incontro personale tra docente e discente (tra l’intelligenza libera del docente e l’intelligenza libera del discente). Pertanto va ribadito che, in contrasto con le teorie pedagogiche materialiste di origine anglosassone, magari condite in salsa marxista, che hanno cercato di imporsi in Italia negli ultimi decenni, nell’istituzione scolastica la centralità va assegnata alla cultura e alla libertà di insegnamento come suo indispensabile strumento. Sovvertire queste finalità e questi rapporti, come sembra fare confusamente il testo governativo, significa truffare i cittadini e privare la società di un apporto essenziale.

FONDAMENTI DELLA SCUOLA E PLURALISMO
L’attenzione alla molteplicità di attitudini e di aspirazioni richiede che il sistema scolastico sia pluralistico, con differenziazioni chiare, che il rispetto alle singole personalità e l’efficacia degli insegnamenti impartiti suggeriscono che siano anche precoci, senza appiattimenti livellatori di sapore totalitario.
Essenziale è il mantenimento dei Licei, quali scuole di severa preparazione teorica, atti a predisporre a successivi studi accademici e a fornire una cultura degna di una classe dirigente. E’ opportuno ribadire qui, come affermato in un documento promosso congiuntamente da AESPI e CNADSI nel 2009, che “ lo studio della Lingua Latina, in qualche misura, andrebbe introdotto almeno in tutte le scuole che si fregiano del titolo di “Liceo”.” La tematica dell’espansione e del potenziamento dello studio del latino, che per la sua funzione formativa e per il suo ruolo di lingua universale andrebbe introdotto già nelle Scuole Secondarie di Primo grado, è una delle principali proposte per il miglioramento della scuola italiana, ma nel voluminoso libello renziano non si è trovato spazio neppure per accennarvi.
Naturalmente, c’è anche una vasta parte di studenti e famiglie portata più ad un approccio pragmatico all’inserimento professionale che all’acquisizione di contenuti teorici complessi e che trova sbocco nei filoni dell’istruzione tecnica e di quella professionale. Si sperava almeno in un cenno alla possibilità di restituire il valore abilitante al diploma finale e anche all’istituzione delle “scuole politecniche”, per l’eventuale prosecuzione degli studi, dopo il diploma, nell’alta formazione professionale, ma la speranza è andata delusa.
Né, nel documento governativo, si avverte traccia della situazione determinata dalla frettolosa e improvvida confluenza nei Licei Artistici degli Istituti d’Arte applicata, validissimo esempio di preparazione a una professionalità di alto livello in collegamento col territorio, senza che ci si sia posto il problema di colmare il vuoto formativo lasciato dalla loro abolizione. Tutto ciò, a dispetto di tanta vacua retorica, coperta da una massa di dati statistici atti ad impressionare, sul raccordo tra scopi e metodi della scuola con il mondo del lavoro e dell’impresa. A questo riguardo bisogna poi precisare, non solo per non creare false aspettative di sapore miracolistico, come quelle che il rapporto istilla, ma anche, e soprattutto, per non alterare la funzione stessa dell’istituzione scolastica, che quest’ultima non va confusa con l’ufficio di collocamento, e deve mantenere, pur nei diversi indirizzi, la sua finalità fondamentale di formazione della persona.


DICIPLINE DA VALORIZZZARE
Si è detto dell’importanza dello studio del latino. Altre discipline sono avvilite e trascurate nella scuola d’oggi, così come pure nel documento governativo. In primo luogo la lingua italiana, bistrattata nella sintassi, nella morfologia, nel lessico, nella stessa ortografia, a causa della mancanza di quello studio sistematico che è necessario affrontare, sebbene faticoso e poco piacevole, fin dai primi anni (dagli inizi della scuola primaria e, in una certa misura, già fin dalla scuola dell’infanzia), ed anche a causa del cattivo esempio dei mezzi di comunicazione di massa (e anche dei documenti governativi, infarciti di anglicismi…). Sottolineiamo con forza che la carenza grammaticale e più in generale linguistica, che molti alunni si trascinano fino al termine delle scuole superiori e oltre, non solo è di ostacolo a una formulazione del pensiero chiara ed elegante, ma è anche origine (e, al tempo stesso, sintomo) di riduzione delle capacità logico-argomentative. Ci si chiede inoltre come si possa affrontare la conoscenza e l’uso delle lingue straniere quando si ignorano i costrutti linguistici fondamentali e non ci si sa esprimere correttamente nella propria lingua nazionale.
Altro insegnamento che sarebbe opportuno rafforzare a tutti i livelli, e che è, viceversa, ignorato dal rapporto governativo, è quello della storia, indispensabile per la comprensione delle proprie radici e delle vicende umane anche attuali; il suo studio va ripetuto con approfondimenti successivi tramite metodi progressivamente adeguati allo sviluppo psicologico delle diverse età (mitico - morale nella scuola primaria, narrativo nella scuola secondaria di primo grado, critico nella scuola superiore), senza omettere la fissazione anche mnemonica dei principali dati che ne costituiscono l’ordito. Ricordiamo che per molti ordini di studio la lingua e letteratura italiana e la storia sono le uniche occasioni di incontro con la cultura umanistica e quindi costituiscono un fattore esclusivo di sviluppo della personalità individuale.


VERE E FALSE EMERGENZE
Di fronte a gravi emergenze di questo calibro (Licei, Istituti d’Arte, diplomi abilitanti, scuole politecniche; latino, italiano, storia), che il documento “La buona scuola” ignora bellamente, esso si sofferma invece, con effetto involontariamente comico, accentuato da toni trionfalistici contrastanti con il disagio che si vive nella scuola reale, su ambiti didattici puramente accessori, tanto da ingenerare il sospetto che questa scelta superficiale sia determinata in realtà dal gran numero di insegnanti di queste discipline compresi tra i precari da assumere forzatamente per imposizione europea.
L’insegnamento dell’arte e della musica, riferito in particolare, benché in modo confuso (com’è abituale nel testo renziano), alla scuola primaria e secondaria di primo grado, verrebbe finalizzato alla “creatività” (e perché allora non la lingua italiana, la poesia, la narrativa…? o,meglio ancora, il gioco?) anziché allo sviluppo del senso estetico e della capacità critica, e non supererebbe di fatto il carattere di estemporaneità e di improvvisazione che a parole si afferma di voler evitare. Con tutto il rispetto per la ginnastica e per lo sport (che potrebbero essere potenziati riconducendo l’educazione fisica e pre-sportiva nel suo ambito naturale e sfrondandola di quelle valenze teoriche e burocratiche di cui è stata caricata negli ultimi anni), facciamo fatica a considerare questo elemento come determinante per risollevare le sorti della scuola e della cultura in Italia. E’ affrontato in maniera impropria anche l’insegnamento, molto enfatizzato, delle lingue straniere: il problema non è di quantità ma di qualità: non c’è necessità di aumentare le ore di insegnamento (a scapito di quali altre discipline?), bensì di migliorarne il metodo, evitando la tentazione di facili scappatoie più o meno ludiche, ed esigendone invece uno studio rigoroso che non trascuri i fondamenti morfo-sintattici; requisito essenziale per affrontare la conoscenza di una lingua straniera è ovviamente la sufficiente padronanza della propria lingua, e sicuramente tra i fattori che ne facilitano l’apprendimento va annoverato anche lo studio del latino.


LA MAGICA VENERAZIONE PER L’INFORMATICA E L’ECONOMIA
Si coglie poi una sorta di magica venerazione per l’informatica, che va invece ridotta al suo ruolo di semplice strumento tecnologico, il cui eventuale uso didattico va affrontato senza entusiasmo, evitandone assolutamente l’introduzione in età troppo precoce, e cioè nella scuola primaria, quando il modello di logica binaria tipico dei computer potrebbe avere effetti deleteri sulle capacità deduttive delle menti ancora acerbe; è chiaro inoltre che lo strumento informatico può venire applicato, con le dovute cautele, in diverse discipline, così come tradizionalmente si utilizzano strumenti quali il quaderno o la penna, senza farne una disciplina autonoma, salvo che per gli indirizzi tecnici e professionali specifici (informatici ed elettronici).
Anche per quanto riguarda l’economia, infine, che, forse in omaggio ad una concezione che riduce l’uomo ai soli aspetti materiali, si vorrebbe “rendere accessibile agli studenti di tutte le scuole di secondo grado”, essa va necessariamente insegnata come disciplina autonoma negli indirizzi specifici, mentre negli altri ordini di studio potrà essere meglio compresa se affrontata come riferimento di altre discipline, quali, ad esempio, la filosofia, la storia, la matematica.
In conclusione, le linee – guida del Governo, contenute nel testo “La buona scuola” andrebbero riscritte integralmente con l’apporto di persone competenti; così come sono formulate, vanno respinte in blocco per l’evidente inconsistenza culturale e l’altrettanto evidente misconoscimento della dimensione educativa e formativa che una scuola degna di tale nome deve possedere.

Milano, 12 novembre 2014


Angelo Ruggiero (Presidente Nazionale AESPI)
Enrico Orsi (Presidente Nazionale CNADSI)

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