Gli swap sui tassi infatti, sofisticati strumenti affibbiati dalle banche italiane negli anni scorsi a migliaia di imprenditori ed enti locali (soltanto Unicredit ne ha piazzato circa 32.000 ad altrettante piccole e medie aziende che ritenevano così di garantirsi dall'aumento dei tassi,salvo poi a scoprire che non erano affatto salvaguardati, rischiando così il tracollo), è la più grande bolla speculativa della famiglia degli hedge fund, che non solo la banca centrale europea, ma anche Federal Riserve ed altre banche centrali hanno lasciato lievitare, per consentire l'esclusiva speculazione dei maggiori istituti di credito europei ed americani,di incassare 25 miliardi di dollari Usa di commissioni. Scrivono Adusbef e Federconsumatori: La condotta della Banca appare dunque contraria a buona fede ed alle prescrizioni della Legge n. 154/1992 (Norme per la trasparenza nei servizi bancari e finanziari – v. anche Direttiva Consiglio n.89/646/Cee del 15 dicembre 1989) circa gli obblighi di trasparenza, di comunicazione e d'informazione al cliente. Ma, essendo lo swap uno strumento finanziario (vedasi art.1, comma 2, del decreto legislativo n. 58/1998, si intendono anche «...i contratti di scambio a pronti e a termine (swap) su tassi di interesse, su valute, su merci nonché su indici azionari (equity swaps), anche quando l'esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti»; nonché comunicazione Consob 1055860 del 19/07/2001) e il contratto di swap un'operazione di intermediazione finanziaria, va sottolineato come la Banca abbia del tutto disatteso la legislazione attuale in materia di intermediari finanziari, che offre molte garanzie ai risparmiatori ed agli investitori, nel momento in cui ha proceduto all'offerta fuori sede di prodotti finanziari da parte di funzionari bancari non autorizzati.
L'art. 31 del decreto legislativo n.58/98 (c.d. TUF, Testo Unico in materia finanziaria), invero, recita : “Per l'offerta fuori sede, i soggetti abilitati si avvalgono di promotori finanziari.” e l'art. 166 dello stesso decreto commina le sanzioni previste per il reato di abusivismo, così stabilendo: “1. E' punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da lire quattro milioni a lire venti milioni chiunque, senza esservi abilitato ai sensi del presente decreto svolge servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio offre fuori sede, ovvero promuove o colloca mediante tecniche di comunicazione a distanza, strumenti finanziari o servizi di investimento. E, aggiunge che con la stessa pena e' punito chiunque esercita l'attività di promotore finanziario senza essere iscritto nell'albo indicato dall'articolo 31.
Pertanto nel caso di funzionario che abbia venduto in azienda i prodotti finanziari evocati in narrativa se non è anche un promotore finanziario ha concretato con la propria condotta un fatto di reato. La condotta della Banca pare essere stata preordinata al fine di procurarsi un ingiusto profitto se si considera che dalla vendita di “swap” la banca guadagna sempre e molto mentre l'azienda perde indebitandosi talora in maniera letale.
Va aggiunto che i Funzionari che si recano fuori sede per l'offerta omettono ovviamente di illustrare correttamente, esaurientemente e comprensibilmente la reale portata del rischio, insito nelle operazioni di cui sopra omettendo in particolare di verificare se dall'amministratore sia davvero compresa la portata della dichiarazione e degli effetti di essa, in rapporto alla dichiarazione ex art.31, co. 2°, Reg. Consob n.11522/98. Né la Banca previamente verifica il concreto livello di competenza in capo al legale rapp.te p.t. dell'Azienda o in capo a specifiche professionalità presenti in seno alla stessa. E tutto questo importa e rileva al di là del fatto che sia stato consegnato e sottoscritto il Documento Consob sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari.
E' opportuno ricordare che nello svolgimento dei servizi di investimento e accessori, i soggetti abilitati “devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati” (art. 21, comma 1, lett. a) del TUF).
Il concetto di diligenza di cui all'art. 21 del TUF si riferisce, naturalmente, alla “diligenza del buon professionista” (e non a quella del “buon padre di famiglia”); così che, anche se non menzionata espressamente, la professionalità contrassegna la modalità di comportamento degli intermediari, precisando il significato della diligenza. A conferma di ciò, può essere richiamato l'art. 23, comma 6 del TUF, che sancisce : “nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente, nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati [cioè, agli intermediari] l'onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta.”
La “cura dell'interesse del cliente” (strumentale all'integrità del mercato) è, quindi, l'obiettivo primario che il principio della correttezza mira a raggiungere. In tal senso, l'art. 28, comma 2, del Regolamento Consob n. 11522/98 prevede che i soggetti abilitati “(…) non possono effettuare o consigliare operazioni (…) se non dopo aver fornito all'investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”. In considerazione dei fatti esposti in narrativa si configura agevolmente il concretarsi della fattispecie p.e p. dall'art. 640 c.p.(TRUFFA) e di tutti quelli infra prospettati.
Conseguentemente – hanno chiesto Adusbef e Federconsumatori- nell'integrazione dell'esposto del luglio scorso inviato oggi alle Procure della Repubblica di Milano,Roma, Torino,Firenze, Genova, Palermo, Bari, Lecce, Napoli,Bologna- sedi delle maggiori banche che hanno commercializzato i prodotti derivati anche a Comuni,Province e Regioni di indagare per i reati di truffa, abuso d'ufficio,truffa contrattuale,falso in atto pubblico e falso in bilancio, invitando le AAGG in indirizzo nell'ambito delle rispettive competenze territoriali allo svolgimento di tutte le indagini sottese ad accertare i riscontri ai reati ipotizzati, e con riserva di costituirsi parte civile nell'eventuale istaurando procedimento penale.
Anche gli Enti locali infatti- non soltanto gli imprenditori- sono stati indotti dalle banche ad acquistare strumenti derivati di copertura, spesso con artifizi e raggiri,con la promessa di passare da uno strumento di copertura all'altro a costo zero,invece di implicite commissioni di decine di milioni di euro occultate nelle pieghe delle quotazioni, configurando il reato di truffa contrattuale, anche con la finalità di postergare nel tempo l'indebitamento,da ripagare con tasse e balzelli sempre più nuovi per alimentare il debito, in modo da lasciarlo in eredità alle nuove generazioni.
Adusbef e Federconsumatori chiedono infine alle sonnacchiose autorità vigilanti,di verificare preventivamente le politiche di marketing attuali di primarie banche come Antonveneta,che per ripianare le attese di bilancio,chiedono di piazzare 600 milioni di euro di prodotti derivati ai clienti.
Anche questo ultimo scandaloso episodio denunciato da anni dalle associazioni dei consumatori, conferma che la questione bancaria, dopo i casi Cirio,Parmalat,Bond argentini, e tutto il corollario del risparmio tradito,è diventata la vera questione democratica che un governo serio deve sciogliere se non vuole farsi prendere in giro, per non sfociare in una deriva da Repubblica delle banche.