(ASI) Già a partire dall’ampia scalinata dell’ingresso del locale, sembrava di entrare nel salone delle feste settecentesche. Mano a mano che si salivano i gradini, si veniva avvolti da un turbinio di voci e di musiche.
All’ingresso nella sala si era accolti da un’esplosione di vivaci colori, quelli dei caftano e dei Djellaba. I loro tessuti erano ricercati, con perline e ricami.
Protagoniste indiscusse erano le donne che, indossando gli abiti tradizionali marocchini, creavano un’atmosfera araba come quella descritta nel libro “Le mille e una notte”, oppure quella dell’epoca aurea di Solimano il Magnifico e Roxelana (la schiava che divenne sua moglie legale n.d.r.).
Ebbene, proprio questo saggio di splendore orientale é stato uno degli elementi più interessanti del Festival del Marocco, tenutosi a Roma in un noto locale all’Eur.
E’ stata anche l’occasione per apprezzare danze tipiche, esibizioni di folklore, ricercati manufatti artigianali come le ceramiche o i sabot a punta e, in particolare, una caratteristica della “bevanda nazionale”. Il riferimento é alla cerimonia del tè, dal profondo significato legato all’accoglienza, che diventa arte nel momento in cui é servito. La bevanda é preparata con tè verde cinese, menta e zucchero. Il rituale prevede che vi sia un tavolino, non alto, su cui vi é un vassoio in argento con decori ad intarsio, su di esso si appoggiano dei bicchierini di vetro che possono essere decorati con motivi che richiamano quelli delle moschee. E’ soprattutto il modo di versare il tè dalla caraffa, con movimenti che sembrano una danza, ad affascinare di questa magistrale cerimonia.
Foad Aodi