Celso Ghini. Uno sguardo critico sulla Resistenza umbra
di Marco Petrelli
Malgrado siano trascorsi quasi settant’anni, la Resistenza continua ad essere argomento di scontro politico, storiografico, ideologico. Non è facile parlarne, soprattutto se si cerca di ricostruirne un profilo obiettivo, scevro da contenuti retorici ed apologetici. Ricerca, analisi, confronto delle fonti: queste sono le armi dello storico, le uniche che permettono ad uno studioso di dare un’immagine quanto più oggettiva di un fenomeno, di un evento e dei suoi protagonisti.
La Resistenza umbra, quella ternana in particolare, è stata negli ultimi anni al centro di polemiche e tensioni che, purtroppo, sono andate anche oltre l’acceso dibattito. Non pochi sono i lati oscuri della lotta partigiana a Terni e nell’Alto Lazio: morti che ancora reclamano giustizia, tradimenti, accuse reciproche, gesti irresponsabili. Lati oscuri appunto, mai più affrontati nel dopo guerra da coloro che ai posteri hanno preferito lasciare in eredità una mera apologia del passato.
Ma non tutti coloro che scelsero di combattere RSI e tedeschi hanno perso lo spirito critico, ovvero quel valore intellettuale che appartiene agli uomini che credono nel concetto di libertà.
Celso Ghini è stato uno degli uomini di punta del Partito Comunista Italiano. Bolognese, classe 1907, è ultimogenito di tredici figli. E’ un tipo determinato: autodidatta, consegue la licenza elementare dopo aver frequentato le scuole serali; poi la fiamma della passione politica che, negli anni in cui il Fascismo consolida il suo potere, lo spinge ad iscriversi alla Gioventù comunista. Dopo il primo arresto, trascorre due anni a Mosca. Commissario politico delle brigate Garibaldi durante la guerra civile, dopo il conflitto ricopre incarichi di rilievo nel PCI, prima nella Commissione Centrale di Organizzazione del partito, poi nel Comitato Centrale.
Durante i seicento giorni, dall’ otto settembre ‘43 alla fucilazione di Mussolini, Celso Ghini svolge la funzione di commissario politico, figura ereditata dal sistema sovietico e già conosciuto in Spagna da coloro che hanno combattuto nelle brigate internazionali.
Oltre a garantire la formazione ideologica delle bande partigiane e a far rispettare le direttive del Partito, il commissario scruta, studia, investiga sulla condizione della lotta a fascisti e tedeschi, valutando il comportamento dei compagni e la loro capacità organizzativa.
“[…]Durante il periodo dell’occupazione non vennero costituite, e comunque non operarono le associazioni professionali, giovanili, femminili; non vennero organizzate su vasta scala agitazioni e manifestazioni di strada per protestare contro lo scarso rifornimento dei generi alimentari, per chiedere la liberazione dei carcerati, contro il reclutamento forzato dei giovani nell’esercito repubblichino con relative fucilazioni dei renitenti e disertori. Non vennero organizzati scioperi dei lavoratori occupanti, come nello stesso periodo avveniva in Toscana e nella Valle Padana[…]”. (Celso Ghini, La Resistenza in Umbria, estratto da L’Umbria nella Resistenza, Ed. Riuniti, 1972, vol. I).
Ecco un esempio di rapporto agli organi centrali. Rapporto certo non edificante: il commissario Ghini boccia l’attività delle unità resistenziali, sottolineando una carenza organizzativa molto forte. Quali i motivi di un simile ritardo nella strutturazione della lotta al tedesco?
Ne Il gruppo di combattimento ‘Schanze’ nella grande impresa contro le bande (Settimo Sigillo, 2006), l’ex partigiano e generale della Guardia di Finanza Enzo Climinti descrive una città, Terni, sventrata dalle bombe e abbandonata dagli stessi tedeschi che, per avere un maggiore controllo della Conca e per evitare di essere bersaglio delle incursioni aeree nemiche, decidono di installare il comando a San Gemini. Va da sé che la scelta germanica di riparare in un paese limitrofo a quelle stesse montagne nelle quali operò, a partire dal Febbraio ’44, la brigata “Antonio Gramsci” , creò non pochi problemi alle formazioni comuniste, ancora inesperte alla guerra e costrette a dover affrontare unità veterane della campagna d’Italia.
Che Terni non fosse in quei mesi realtà facile nella quale diffondere il germe della ribellione lo ammette lo stesso ne La lotta partigiana in Umbria (da Politica e società in Italia dal fascismo alla Resistenza: problemi di storia nazionale e storia umbra, di G. Nenci, Ed. Il Mulino 1979): “[…] per via degli allarmi aerei pluri quotidiani e per i feroci bombardamenti cui era stato sottoposto il centro urbano, la cittadinanza non esisteva più come aggregato organico, come centro cittadino[…]”.
La disorganizzazione delle bande è quindi in parte giustificabile dal fatto che il polo industriale ternano sia obiettivo prediletto dell’aviazione alleata. Tuttavia nella storiografia resistenziale il ruolo dei garibaldini nella liberazione di Terni è eccessivamente marcato: la Gramsci sarebbe entrata nel capoluogo umbro a fianco degli inglesi, coi tedeschi fuggiti dopo lo sfondamento delle linee in Abruzzo e dopo la conquista di Roma (4 Giugno 1944).
In realtà Terni fu presa esattamente come Roma: i tedeschi, ritiratisi nella notte, avevano lasciato campo libero ai nuovi occupanti. Che lo studio della Resistenza umbra presenti lacune non è parere di studiosi revisionisti, ma anche del commissario del PCI Ghini che, trent’anni dopo la fine della guerra, così scrive: “[…]Spesso si tratta (riferito alla storiografia locale) di un materiale grezzo, talvolta contraddittorio, presentato in forma retorica, non vagliato criticamente[…]”.
Testimone oculare delle inadempienze strutturali ed operative della brigata ‘Gramsci’, Ghini con freddezza e lucidità smonta decenni di argomentazioni faziose e agiografiche.
“[…] Più scarse – continua il commissario – sono le ricerche approfondite, i saggi sui particolari aspetti della resistenza e, conseguentemente, gli studi critici generali[…]”(Celso Ghini, La Resistenza in Umbria, estratto da L’Umbria nella Resistenza, Ed. Riuniti, 1972, vol. I). Neanche Germinal Cimarelli, medaglia d’oro al valor militare ed eroe cittadino, caduto sulle alture di Cesi il 20 Gennaio 1944, viene risparmiato dalle critiche di Celso Ghini. Stando alla motivazione della onorificenza e alla ricostruzione dei compagni di lotta, Cimarelli sarebbe morto impugnando un tricolore ed affrontando una pattuglia tedesca armato di solo fucile automatico.
Altre versioni parlano di bandiera rossa e non di tricolore. Gino Scaramucci in Rapporto dalla provincia di Terni, Giugno 1943 – Settembre 1944, sottolinea l’audacia della formazione di Cesi e l’eroismo di Cimarelli. Ghini, nel Rapporto sulla visita alla formazione partigiana di Narni, 5 Febbraio 1944, contesta ai compagni di non essere stati troppo prudenti e di aver pagata cara la loro imperizia. Sul decesso di Cimarelli il commissario dichiara che il giovane, anziché mettersi al riparo dal fuoco germanico, avrebbe issato una bandiera rossa. Gesto inspiegabile che gli costò la vita.
Fonte foto: www.archiviofotounità.it
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