L’Assunzione della Vergine Maria di Reni “torna” a Perugia

(ASI)  Perugia. Nella splendida cornice della Chiesa Nuova, meglio conosciuta dai perugini come San Filippo Neri, in Via dei Priori, prima della celebrazione Eucaristica, si è tenuta la cerimonia di consegna-donazione della copia dell’Assunzione della Vergine Maria, il cui originale, opera sapiente delle mani del bolognese Guido Reni, venne trafugata nel 1797 dalle truppe napoleoniche, scarsi conoscitori del diritto di proprietà ma discreti estimatori della buona arte italiana.

Il quadro in questione non viaggiò da solo, ma in buona compagnia dei capolavori di illustri colleghi, come il Perugino e Raffaello. La Francia, purtroppo, è ormai diventata la dimora abituale del dipinto. Monsignor Giuseppe Ave, dei Padri Filippini, ha introdotto l’evento, con i saluti istituzionali e con il racconto della dinamica che ha portato il maestro Palumbo ad accettare la sfida lanciata dal prelato ed a cimentarsi nell’impresa di far tornare l’Assunzione nel luogo per il quale era stata pensato dal padre Sozi, instancabile curatore della chiesa, agli inizi del ‘600.

Tra monsignor Ave e il maestro Palumbo, da anni ormai, è in corso un’intesa artistica e operativa, che ha stimolato la creatività e l’operosità del pittore perugino, al quale certo non mancavano dapprima, portandolo a realizzare opere dedicate alla chiesa in oggetto, con l’originalità che lo contraddistingue. Monsignor Ave ha ceduto la parola al maestro Palumbo che ha sottolineato l’importanza della copia, nell’arte e nella vita quotidiana di ognuno di noi. Con lo stile fresco e pungente che lo contraddistingue, l’infaticabile pittore ha ricordato come ognuno di noi ha iniziato a scrivere copiando, lettere, parole, disegni e quant’altro per impratichirsi fino a giungere alla padronanza della scrittura. Come ogni mestiere, tutto si apprende dopo anni di osservazione e ripetizione dei gesti del maestro. Non sono mancati gli esempi illustri. Sapevate che Rubens copiava il Mantegna? Io sicuramente no, ma sapevo che da sempre, gli artisti in erba, vengono costretti a copiare le grandi opere dei predecessori. Palumbo ha ricordato, ad un pubblico attento e numeroso, che imitare un artista di valore può generare, tra i suoi effetti collaterali, anche l’ispirazione, che consente una progressione, di tecnica, di contenuti, di linguaggio. Una lampadina che si accenda, insomma, nella mente e nel cuore del copiatore. Ma Palumbo non si è accontentato di esempi soltanto umani e ci ha condotto ad una riflessione più alta o forse più profonda, dipende dai punti di vista. Citando la Genesi, ha fatto notare come lo stesso Dio sia l’archetipo del copiatore esperto e provetto, avendo Egli addirittura creato l’Uomo a sua immagine e somiglianza. Se lo ha fatto Lui!

Ultimus sed non postremus Palumbo ci ha confessato che riprodurre un’opera così importante, nella storia dell’arte e nella storia della città, ha rappresentato per lui una vera e propria sfida, come quella che spinge un esploratore a cimentarsi in imprese dure e pericolose. 

Il professor Mancini, che lo ha succeduto nell’ultima tranche della presentazione, ci ha ricordato l’importanza dei pittori barocchi a Perugia in quanto città rinomata per il Medio Evo e per il Rinascimento. Proprio grazie alla costruzione della Chiesa dell’Assunzione o Chiesa Nuova o di San Filippo, il barocco dei grandi artisti come Guido Reni, Pietro da Cortona e lo Scaramuccia, autori da sempre apprezzati da collezionisti di tutti i tempi, entrano in città e la forniscono di opere pregevoli. Con un velo di tristezza e rammarico il prof. Mancini ha constatato l’infelice sorte dei quadri di valore della Chiesa che, vuoi per le sottrazioni napoleoniche, vuoi per quelle sabaude, vennero ablati dalle loro dimore e posti fuori contesto, in musei e gallerie. L’opera di Reni, particolarmente apprezzata in pieno illuminismo per il suo classicismo, colpevole il povero Baldassarre Orsini che la introdusse nella sua guida di Perugia, venne molto stimata dai Francesi, che pensarono bene di volerla ammirare per sempre a casa loro. Per Mancini, Palumbo non esegue mere copie ma interpreta con stile personale e sguardo originale, andando a ridimensionare l’opera che era di circa due metri, mentre la copia è più contenuta, ma con un trompe l’oeil sul retro, omaggio a monsignor Ave. Il professore Mancini ha concluso dicendo che il quadro di Palumbo vale anche come risarcimento, regalo di un artista incolpevole e generoso che ha voluto colmare un vuoto doloroso.

L’opera emulativa del maestro Palumbo ci insegna l’umiltà, per il modo con cui dedica il suo tempo a studiare e replicare grandi esecuzioni del passato, alla ricerca di un linguaggio comunicativo che possa legare persone, luoghi, momenti della nostra vita dove altre persone hanno deciso di impedirlo. Ma non è solo questo. Riprodurre un quadro religioso vuol dire accettare che per alcuni l’immagine vuol rappresentare un Mistero, che per la Chiesa Cattolica non è qualcosa di inconoscibile, ma l’unione di divino ed umano. Il maestro Palumbo ci fa comprendere l’importanza dell’Incarnazione, che l’amore di Dio è qui e adesso per noi, hic et nunc. Copiare un’opera del passato con il proprio stile, con il proprio tocco personale, rappresenta il fatto che ognuno di noi può dare il suo contributo nella storia della Salvezza con quello che lui è, con le sue particolarità uniche ed irripetibili. Anche il soggetto scelto dal maestro non può passare inosservato. Per un cristiano, Maria assunta in cielo vuol dire che ella abita l’eternità con il suo corpo ogni giorno ed ogni giorno potremmo dipingere un quadro, con il nostro stile personale, come ha fatto Palumbo, per rappresentare chi, ogni giorno, vive una vita diversa e originale. Proprio come noi.

Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia

 

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