(ASI) Gabriele d’Annunzio, personaggio complesso e dalle mille sfaccettature, continua a subire critiche basate su di una storiografia obsoleta e condizionata da luoghi comuni che ormai sono stati superati anche dalla divulgazione storica più recente.
La stessa impresa fiumana va contestualizzata nella cornice storica che vide il deputato Andrea Ossoinack, rappresentante di Fiume democraticamente eletto, appellarsi nell’ottobre 1918 durante una delle ultime sedute del Parlamento asburgico di Budapest al principio di autodeterminazione dei popoli per spiegare la volontà di venire annesso all’Italia che il capoluogo del Carnaro andava manifestando con sempre maggior convinzione. Il successivo 30 ottobre, in pieno disfacimento dell’Impero austro-ungarico, la popolazione fiumana (censimenti asburgici alla mano costituita in prevalenza da italiani) approvava per acclamazione la dichiarazione del Consiglio Nazionale di Fiume che chiedeva l’annessione al Regno d’Italia. Tali manifestazioni di volontà popolare vennero trascurate dalla Conferenza di Pace spingendo d’Annunzio alla sua rocambolesca spedizione. Egli si ricollegò esplicitamente alla tradizione volontaristica garibaldina, che era stata protagonista del Risorgimento realizzando anche imprese al di fuori dell’ordinario e della diplomazia. D’altro canto nel tumultuoso dopoguerra analoghe iniziative avvenivano anche altrove, nella cornice di conflitti che dovevano ancora modificare i confini e di colpi di mano che intendevano salvaguardare l’appartenenza statuale di varie località. Fiume era contesa tra Italia e neonato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, il ché portò d’Annunzio ad assumere toni fieramente nazionalistici, analoghi a quelli della controparte, ma non si può tacciare di slavofobia colui il quale aveva composto “L’ode alla nazione serba”. La Carta del Carnaro rappresentò inoltre un testo costituzionale che recepiva le principali istanze libertarie e sociali dell’epoca. La matrice nazionalista e militarista della Reggenza Italiana del Carnaro andò stemperandosi in iniziative come la Lega dei Popoli Oppressi, attraverso la quale, auspicando un nuovo ordine mondiale, il poeta abruzzese si rivolgeva ai popoli ed alle colonie che avevano visto i propri diritti calpestati dalle decisioni della nascente Società delle Nazioni.
Riguardo la statua da dedicargli a Trieste, a prescindere dal valore dell’uomo di cultura, che, prima di rischiare la vita come poeta-guerriero durante la Prima guerra mondiale, aveva raggiunto la fama con le sue opere letterarie e teatrali note ed apprezzate in tutto il mondo, d’Annunzio rappresenta un passaggio fondamentale nella storia della città di Fiume. L’italianità fiumana fu salvaguardata al termine della Grande guerra dall’intraprendenza del “Vate della nazione”, ma venne distrutta ed annichilita dall’occupazione dell’esercito partigiano comunista jugoslavo di Tito al termine della Seconda guerra mondiale, inducendo la maggioranza dei fiumani a scegliere la via dell’esilio. Trieste come capitale morale dell’esodo che coinvolse il 90% della comunità italiana dell’Adriatico orientale è la sede ideale per accogliere un monumento dedicato a chi, con l’impresa fiumana, con il lancio su Trieste dall’aereo di volantini propagandistici (non bombe) e con la stesura della “Lettera ai dalmati” tanto rappresentò per l’italianità di queste terre.
Renzo Codarin
Presidente Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia