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Storia, Il liberalsocialismo in Italia
(ASI) Il liberalsocialismo è probabilmente il più promettente dei numerosi movimenti di “terza via” sorti nel mondo occidentale tra Ottocento e Novecento. Nasce dall’esigenza di evitare che liberalismo e socialismo, se spinti sino alle loro estreme conseguenze, producano più danni che vantaggi: un capitalismo spietato e rapace, un socialismo oppressivo e livellatore. Per salvare il meglio dell’uno e dell’altro occorre definire un modello che rispetti e promuova tutte le libertà, da quelle politiche a quelle economiche e civili, ma si dimostri sensibile ai problemi della povertà, dell’educazione, dello sviluppo sociale. Le difficoltà sorgono naturalmente quando occorre tracciare la frontiera tra le due esigenze, e sono tanto maggiori, paradossalmente, quanto maggiori sono le doti individuali e il brio intellettuale dei singoli liberalsocialisti.

La prima stagione del liberalsocialismo italiano è riunchiusa all’interno della biografia intellettuale di Francesco Saverio Merlino, un precursore trascurato e fino a pochi anni fa dimenticato. Comunque Merlino non è il profeta del liberalsocialismo in Italia: il suo pensiero non fa presa né influisce sugli orientamenti dei liberalsocialisti della seconda generazione. Sotto questo profilo, Merlino può essere considerato un precursore solo nel senso letterale del termine, solo in quanto la sua opera precede nel tempo altre opere sul medesimo argomento, rispetto alle quali però non rappresenta una fonte di ispirazione né un punto di riferimento1. Nella tradizione italiana si registra dunque fin dall’inizio una cesura, una mancanza di contatto che provoca discontinuità e che potrebbe giustificare in sede interpretativa la tesi di una storia divisa in due fasi distinte, solo parzialmente sovrapposte, ma irrelate sul piano dei contenuti: la prima, che appunto comincia e si esaurisce con Merlino, in un arco temporale che va, grosso modo dal 1897 al 1930; la seconda, che prende avvio intorno alla metà degli anni Venti con Gobetti e Rosselli e prosegue fino alla metà degli anni Quaranta con Calogero, Capitini e l’esperienza dell’azionismo. Il secondo periodo procede lungo una linea spezzettata, non priva di interruzioni o di corto circuiti, come mostra il fatto che del pensiero di Carlo Rosselli i giovani liberalsocialisti, riuniti intorno a Calogero e Capitini, hanno, nella fase iniziale della loro iniziativa, scarse notizie o addirittura nessuna conoscenza. Aldo Capitini ricordava: “Quasi nulla sapevamo dell’antifascismo in Italia e all’Estero; lo abiamo imparato dopo; io ho letto il libro di Carlo Rosselli sul socialismo liberale nel 1946!”2.

Nella tradizione italiana del liberalsocialismo si possono distinguere, sotto il profilo teorico, un’area centrale, rappresentata dalle opere di Carlo Rosselli e Guido Calogero, nella quale il nucleo dottrinale appare più coerente e “sistematizzato”, in maggiore sintonia rispetto alle precedenti elaborazioni dell’esperienza europea, e due zone di confine, occupate rispettivamente dalla posizioni di Piero Gobetti e Aldo Capitini, nelle quali, proprio perché collocate nei punti di intersezione con altri “sistemi”, i contorni dell’identità dell’ideologia liberalsocialista appaiano più sbiaditi o comunque meno netti. L’elemento che congiuge i poli estremi del sistema (Gobetti e Capitini), passando attraverso il centro (Rosselli e Calogero), è la concezione della libertà come attività liberante, come fattore di liberazione, come processo di emancipazione e di riscatto sociale3.

Norberto Bobbio ricordava in un saggi che la sintesi tra liberalismo e socialismo è stata generalmente proposta “come l’effetto di un oltrepassamento dottrinale, o di una mediazione politica o puramente e semplicemente di un compromesso pratico”4. Se questo è vero, Guido Calogero ha compito il tentativo più sistematico per fondare in Italia il liberalsocialismo come espressione di una sintesi teorica fra l’idea di libertà e quella di giustizia. Ma occore subito aggiungere che quell’oltrepassamento dottrinale di liberalismo e socialismo si è lasciato in gran parte alle spalle sia l’individualismo metodologico e assiologico del pensiero classico liberale, sia la molla del conflitto che ha animato gli esponenti più accorti del liberalismo e del socialismo5. Merito indiscusso della riflessione politica di Calogero è stato quello di aver ripensato l’esigenza della libertà dei moderni nella sua connessione ineludibile con l’istanza della giustizia sociale. Sotto questo profilo, l’idea stessa del liberalsocialismo può essere anche definita, non meno dell’azionsimo, come “una metafora di ricerca”, sempre aperta a nuovi approfondimenti analitici e alle incursioni di una historia magistra rerum6. Di ciò ebbe consapevolezza piena Calogero. Pur restando sempre legato alle posizioni iniziali, egli ebbe ad osservare che, come aspirazione etica e come teoria politica, il liberalsocialismo “non è un monopolio di nessuno”7.

Aldo Capitini collaborò strettamente con Guido Calogero nella fondazione del movimento liberalsocialista, ma con un’accentuazione in parte diversa e che nel corso degli anni si allontanò decisamente da quella dell’amico, e non aderi al Partito d’Azione, avvicinandosi piuttosto ai socialisti e aderendo, nel 1948, e sia pure con poca convinzione, al Fronte popolare8. Non possono sfuggire le differenze tra i due fondatori: il liberalsocialismo di Calogero è un “orientamento giuridico”, mentre quello di Capitini è un “orientamento social-religioso” (la distinzione è di Capitini)9. L’intonazione religiosa del liberalsocialismo capitiniano è espressa magistralmente da questa definizione che si trova nell’Introduzione a Nuova socialità e riforma religiosa: “Prendere la libertà e la religione come un fuoco vitale, e collocarlo entro il socialismo, ecco il liberalsocialismo come è stato esposto in queste pagine e come è stato affermato nella lotta antifascista e postfascista”10. Per Capitini il liberalsocialismo è “una nuova prospettiva” tra liberalismo liberistico e socialismo statalistico: tuttavia, esso “non è soltanto un orientamento per la soluzione dei problemi sociali e politici, ma è il passagio ad una soluzione religiosa”. Se ci arresta al piano sociale e politico, “non si avrebbe in mano tutte le armi per affermare la nuova socialità, che sarà tale solo quando avrà portato in sé nel nuovo quadro socialista, non solo un’articolazione di libertà ma anche una centralità religiosa”11.

Motivando la decisione di non aderire al nuovo partito, Capitini cosi riassume la sua visione del liberalsocialismo: “È da insistere su questo carattere del movimento, di essere non un partito e un programma esclusivo, ma un atteggiamento dell’animo, un aprirsi in una direzione, una certezza e una speranza sempre rinnovantisi”12.

Il liberalsocialismo non conquista il potere ma finisce per ispirare quasi tutti i programmi riformisti del Novecento. Forse la prova più interessante di questa anomalia è il grande programma britannico “dalla culla alla tomba”13, dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Fu realizzato dal governo laburista di Clement Attlee, ma ideato da un liberale, Lord Beveridge.

1 Ivi., p. 26.

2 Aldo Capitini, Antifascismo tra i giovani, Edizioni Célebès, Trapani, 1966, p. 45.

3 Virgilio Mura, Prefazione a I dilemmi del liberalsocialismo, a cura di Michelangelo Bovero, Virgilio Mura, Franco Sbarberi, op. cit., p. 28.

4 Franco Sbarberi, La sintesi liberalsocialista di Guido Calogero, in I dilemmi del liberalsocialismo, cit., p. 105.

5 Ivi, p. 105.

6 Ivi, p. 135.

7 Guido Calogero, Prefazione a Difesa del liberalsocialismo: con alcuni documenti inediti, Atlantica, Roma, 1945, p. 6.

8 Leone Iraci Fedeli, Per la Storia del Partito d’Azione, op. cit., p. 24.

9 Piero Polito, Il liberalsocialismo di Aldo Capitini, in I dilemmi del liberalsocialismo, op. cit., p. 172.

10 Aldo Capitini, Nuova socialità e riforma religiosa, Einaudi, Torino, 1950, p. 2.

11 Ivi, p.2.

12 Piero Polito, Il liberalsocialismo di Aldo Capitini, in I dilemmi del liberalsocialismo, op. cit., p. 172.

 

13 Virgilio Mura, Prefazione a I dilemmi del liberalsocialismo, a cura di Michelangelo Bovero, Virgilio Mura, Franco Sbarberi, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994, p. 24.

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