(ASI) Chieti - La città di Chieti è ricca nel sottosuolo di tanti misteri e tesori, di cui ho trattato anche nel mio libro "Chieti nella Tarda Antichità" (La Voce dei Marrucini 2015), ripreso nel mio nuovo libro "Chieti e l'Araba Fenice.
Luci ed Ombre su Teate. La resilienza dell'identità cittadina dal IV al XI sec. d.C." che si occupa della capacità dei Teatini nel corso dei secoli di resistere ai cambiamenti epocali come ad esempio le invasioni barbariche e il sacco dei Franchi dell'801 che ha segnato una cesura storica fondamentale fra la città antica italica - romana e quella moderna le cui basi vengono poste nel Medioevo. Di ciò parlava lo storico Ludovico Gatto. E proprio per questo è stato coniato il mito dell'Araba Fenice, cioè dalla città che inaspettatamente e improvvisamente "risorge dalle ceneri".
Di questa eredità restano tracce in particolare nel sottosuolo della città, dove nel centro storico, sotto ogni chiesa c'è un antico tempio, resti di infrastrutture, domus nobiliari, palazzi pubblici e antiche sepolture; l'ultima è stata ritrovata a fine settembre in zona San Giustino.
Ma, un tale avvenimento non è nuovo in città, anzi in passato è avvenuto più volte, poiché fino al Settecento era usanza inumare le salme nei pressi di Chiese o in fosse comuni fuori le mura della città.
Nella Tarda Antichità (periodo storico di passaggio fra l'antichità e il pieno Medievo), Corso Marrucino (che ripercorre più o meno l'antico tracciato della romana Via Ulpia), dove c'era il "Foro" (centro commerciale e politico dell'antica Teate), era in degrado e intorno sono state trovate sepolture come vicino ad antichi edifici romani, poiché si ipotizza che la città tardo antica, prima della distruzione dell'801, era abitata soprattutto sui colli della collina di Chieti (Colle Gallo, Colle S.Paolo e la Civitella).
A tal proposito, nel mio libro "Chieti nella Tarda Antichità" ho pubblicato una cartina disegnata dagli archeologi anni fa che fa vedere i siti cittadini dove sono presenti resti di chiese arcaiche, sepolture singole o aree cimiteriali, come alla Civitella nell'anfiteatro o vicino San Giustino e la Chiesa di San Francesco al Corso (in antichità S.Lorenzo).
Si legge nel paragrafo 2.5 "Le Sepolture all'Interno del Tessuto Urbano" del mio libro "Chieti nella Tarda Antichità" (Chieti, ediz. 2015) sulla presenza di antiche sepolture nel territorio dell'antica città di Teate Marrucinorum:
"Un altro elemento che segna il cambiamento in seno alla città tardo antica è la presenza delle sepolture all'interno del tessuto urbano (Vedi Fiocchi Nicolai, “Elementi di trasformazione dello spazio funerario tra tarda antichità ed altomedioevo, in “Uomo e spazio nell'alto medioevo”, Spoleto 2003, pag. 945 – 954). A tal proposito, a Chieti sono state individuate diverse aree interessate da sepolture. Le notizie archeologiche sono sommarie perché gran parte dei rinvenimenti sono stati fatti a cavallo fra Ottocento e Novecento, per cui non esiste un'adeguata documentazione archeologica; gran parte dei materiali rinvenuti sono stati dispersi e bisogna accontentarsi di interpretare le preziose notizie riportateci dagli storici locali. Lo Zecca alla fine dell'Ottocento rinviene nell'ultimo tratto della Via Ulpia, nel settore Nord della città, una serie di sepolture: due terragne e prive di corredo e altre sei nei pressi della chiesa di San Francesco. Queste erano disposte l'una a fianco dell'altra lungo il limite della strada romana, scavate nel terreno ad una quota leggermente inferiore. Le sepolture erano orientate ad est: cinque erano ricoperte di tegoloni fittili senza bollo, mentre la sesta da lastre di pietra calcarea di grandi dimensioni. Solo quest'ultima ha resistito sul petto dello scheletro, una piccola croce medievale in lamine sottile di bronzo, con teca chiusa da vetro, forse di qualche sacra reliquia, nel mezzo del petto, ed uno spillo frammentario".
"Un'altra sepoltura fu rinvenuta rasente il muro del Seminario diocesano, rivestita interamente e ricoperta di lastroni di petra calcarea, al suo interno era conservato uno scheletro con un anello sottilissimo di bronzo (Vedi Zecca, “Gli scavi della Via Ulpia in Chieti. Studio Archeologico, in Rivista abruzzese di Scienze, Lettere e arti, XII, 1897, pp.9-10). Durante gli scavi della Via Ulpia (odierno Corso Marrucino), vennero alla luce materiali eterogenei (molti di età romana), capitelli, lucerne, utensili in bronzo e due tombe a cappuccina. La descrizione riportata da Zecca dei rinvenimenti è molto interessante “principalmente nelle vicinanze del Palazzo Marchioni e di quello Henrici, dove sono state rinvenute due tombe a capanna, formate da grosse lastre di terracotta al di sotto e da tegoloni piani, messi a contrasto al di sopra, con orli laterizi rilevati. Vi si racchiudevano scheletri di vantaggiose proporzioni: un dolio di terracotta che sembra però essere stato però convertito in “olla ossuaria”; per qualche resto umano che vi è raccolto, insieme a parecchie monetine ossidate ed irriconoscibili del basso impero....” (Vedi, Zecca, op. Cit. 1900 e Zecca, op. Cit. 1987 pp. 12-13). Inoltre, sotto il Palazzo Bassi- de Horatiis, emersero altre due tombe a cappuccina simili alle precedenti, coperte con tegoloni privi di bollo e con gli inumati rivolti ad ovest (Zecca, op. Cit, 1897, pag. 15-16). Nello stesso luogo furono, infine, rinvenuti un sarcofago, due mosaici e mura di edifici con paramenti in “opus reticulatum” (Vedi G.Obletter, M.T. Piccoli, A De Martiis, “Il Patrimonio archeologico della città di Chieti, Chieti, 1985, pp. 58-59)".
"Anche Scenna agli inizi del Novecento, durante i lavori di rifacimento di Corso Marrucino, individua alcune sepolture manomesse: si tratta di fosse poste tra alcuni muri in “opus reticulatum” che risultavano prive di corredo e che conservavano ancor agli inumati. Egli deduce che le sepolture siano di età medievale in quanto si trovano tra le strutture murarie di abitazioni romane. Scenna commenta: “di queste tombe medievali, mescolate a quelle romane e magari pre romane, se ne trovano parecchie lungo la Via Ulpia (Vedi Scenna, op. Cit, 1937 pag. 103-104). Ma, appare molto improbabile che in quest'area vi fossero delle sepolture di età romana dato che la zona in questione si trovava all'interno della città, dove secondo le leggi romane era severamente vietato seppellire i defunti (Vedi M.C. Somma, op. Cit. Pag.50). La descrizione delle tombe ed alcuni dei materiali rinvenuti negli scavi permettono di ritenere che esse abbiano fatto parte di un unico cimitero, composto per lo più da tombe a cappuccina, e fosse terragne risalenti all'età tardo antica. L'area sepolcrale doveva estendersi presubilmente dalla chiesa di San Francesco a Largo Valignani verso Sud e alla cattedrale di San Giustino verso Ovest. Tutto ciò porta a ritenere che ci si trovi di fronte ad una vera e propria necropoli di cui è rimasta memoria solo delle tombe rinvenute casualmente sul finire del 1880. I dati non permettono di ipotizzare l'intero arco cronologico della frequentazione della necropoli che, verosimilmente, deve essere rimasta in funzione almeno per tutto il V-VI secolo, ma forse anche oltre, vista la presenza nella zona di edifici di culto che, nel tempo, possono aver svolto un ruolo di attrazione delle sepolture stesse. I dati archeologici permettono di identificare,invece, con certezza una piccola area adibita ad uso funerario risalente all'alto medioevo: si tratta di alcune sepolture venute alla luce lungo i muri perimetrali dell'anfiteatro. Le sepolture, sigillate da un crollo delle strutture avvenuto nel VII secolo, erano state scavate sotto il piano di fondazione dell'edificio romano ed erano allineate secondo l'andamento dei muri (Vedi A. Campanelli, “L'anfiteatro di Chieti: nuovi dati sull'urbanistica della città romana, in Quaderni dell'Istituto di archeologia e storia antica dell'Università di Chieti, 3, 1983, pg.40). Oltre alle fosse terragne è stata rinvenuta una sepoltura anfora. Solo in una delle tombe ha resistito un oggetto di corredo che è risultato utile per una più precisa datazione del cimitero: si tratta di un pettine in osso lavorato con custodia (Vedi A.Campanelli, 1997, pg. 40). Il manufatto presenta nella parte non dentata e nella custodia una decorazione realizzata in modo accurato, che orna la parte centrale con motivi e semicerchi e a “occhi di dado” incorniciati, sui lati brevi, da un motivo a matassa che ricorre anche nelle estremità del pettine. I motivi decorativi rimandano a contesti che, per I materiali associati, permettono una datazione intorno alla prima metà del VII secolo (M.C. Somma, op. Cit. Pag. 50)".
"Ultima, ma non in ordine di importanza, ma solo dal punto di vista cronologico, il ritrovamento vicino Largo Barbella nel 2008 di una antica sepoltura longobarda, rimasta intatta per tredici o quattordici secoli. A tal proposito, riportiamo per sommi capi la simpatica e pittoresca descrizione che viene data del suo ritrovamento sul blog www.chieti.blogspot.it il 14 di giugno del 2008: le spoglie rinvenute sotto il pavimento di quella via senza nome che immette dal Corso in Largo Barbella sono i resti di qualcuno che vide Chieti nella sua forma romana, decaduta, ma forse non molto cambiata dal periodo del suo splendore. Il Longobardo ha ascoltato le voci di chi usava ancora la lingua di Ovidio, a lui probabilmente incomprensibile. Non sappiamo il suo nome, la sua storia; non sappiamo se fra i Teatini di oggi ci sono suoi discendenti. Sappiamo solo che lui ha riposato là, sotto pochi centimetri di terra calpestata ogni giorno da centinaia di ruote e di piedi. Nemmeno i grandi Faraoni hanno goduto di un così lungo periodo di inviolato riposo. Sulla sua anonima tomba sono passati quasi tutti gli abruzzesi, venuti a Chieti per sbrigare qualche ufficio, per la visita militare o la processione. Nei secoli passati là hanno passeggiato dame e cavalieri. Quel velo di terra battuta è stato calpestato dai piedi scalzi di bambini, dagli zoccoli dei muli, dai sandali dei domenicani e dalle ruote dei carretti. Tutti i giorni, tutte le stagioni, senza sosta, per anni e anni, generazioni e generazioni, attraverso guerre, epidemie, signorie, sconvolgimenti epocali. Centinaia di famiglie hanno costruito le loro fortune edificato palazzi, eretto torri e cappelle e poi si sono estinte senza che nulla sia rimasto di loro. Le chiese, i monasteri, le case sono cambiate mille volte attraverso tanti secoli, mentre il Longobardo era sempre là, sotto quei pochi centimetri di terra. Per la sua sepoltura era stato scelto un luogo appropriato, vicino al punto in cui la via Ulpia che a quei tempi passava per il tracciato di Corso Marrucino s'incrociava col percorso che conduceva all'antico tempio di Iside, affacciato verso la valle in direzione del tramonto del sole. La zona era equidistante dal tempio di Ercole e dai tempietti gemelli. Comunque tra templi e chiese il suo riposo doveva sembrare ben protetto e così infatti è stato. Nei secoli nessuno ha violato la tomba fino all'arrivo degli operai che l'allora Sindaco Ricci e l'Assessore Luigi Febo, inviavano ogni mattina ad aprire un nuovo cantiere e a smuovere perfino la terra di ultramillenaria posa (per realizzare un tunnel ipogeo per collegare il terminal a Largo Barbella che nonostante i soldi spesi non ha mai trovato compimento e che rappresenta una delle più gravi incompiute cittadine). Se il Longobardo avesse potuto essere presente alla fortuita riesumazione si sarebbe sorpreso più di noi e forse si sarebbe anche “incavolato” non poco a ritrovarsi là, davanti alle scale dei cessi pubblici, tra muri di banche, parcheggi e cassonetti di spazzatura. Non c'è più neanche un albero, una siepe, un cippo, una fontana, nemmeno il panorama della valle con i suoi meravigliosi tramonti ora completamente oscurati dai palazzi di Largo Barbella e via Vitacolonna: “ditemi, chi è stato – urlerebbe nel suo idioma germanico tra la puzza e il rumore di automobili – chi ha trafugato la mia salma per portarla in questo postaccio immondo?”. Scherzi a parte , potrebbe essere interessante cercare di recuperare le carte (se esistono ancora) riguardanti la costruzione del Banco di Napoli (Attuale San Paolo). E' strano che proprio in quel punto l'edificio abbia una rientranza. Ci dev'essere stato un motivo molto serio per rinunciare alla pianta quadrata (Vedi http://chieti.blogspot.it/2008/06/la-tomba-del longobardo.html), secondo noi proprio il sonno eterno dell'antico guerriero che, probabilmente, non voleva essere disturbato".
La "Chieti Sotterranea" é ricca di misteri e di tesori che dovrebbero essere maggiormente conosciuti e valorizzati anche ai fini turistici. Attualmente, solo una minima parte della città sotterranea è visitabile. Si potrebbero, così, investire fondi anche privati per rendere Chieti, l'antica Teate Marrucinorum, una vera attrazione turistica pressoché unica nel suo genere in Italia.
Cristiano Vgnali - Agenzia Stampa Italia